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Climatologia

La climatologia studia l’evoluzione degli eventi atmosferici nell’arco di decenni ed effettua previsioni, grazie a modelli matematici, sui possibili scenari futuri a partire da determinate condizioni iniziali, quali, per esempio, quelle di temperatura, umidità e precipitazioni e di altri fattori fisici e chimici. Inoltre, ha un ruolo importante nella prevenzione dei danni ambientali. Non è da confondersi con la meteorologia. La meteorologia si concentra su eventi meteorologici a breve termine che durano fino a poche settimane, mentre la climatologia studia la frequenza e le tendenze di tali eventi.

Annalisa Cherchi è una climatologa e, in particolare, si occupa del clima della regione Indo-Pacifica e dei fenomeni climatici tropicali, quali i monsoni asiatici. È ricercatrice presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR, dove contribuisce allo sviluppo dei modelli matematici del sistema terra. Dal 2018 al 2021 ha partecipato come lead author al sesto report sul cambiamento climatico dell’Intergovernmental Panel of Climate Change (IPCC). Con le sue ricerche contribuisce allo studio del clima che cambia e dei possibili scenari futuri.

INDICE

  • Può descrivere il suo lavoro? Prevede una routine oppure ogni giornata lavorativa è sempre diversa dalle altre?
  • Che cosa l’appassiona particolarmente del suo lavoro e quali sono le criticità?
  • Quali sono le sue attività preferite, i momenti che la appassionano maggiormente?
  • Qual è il percorso che l’ha portata alla sua professione?
  • Tra le abilità richieste dalla professione che svolge, quali derivano dallo studio e quali dal lavoro?
  • Quali capacità e attitudini bisogna avere oltre alle conoscenze scientifiche?
  • Quale percorso consiglierebbe per arrivare a svolgere il suo lavoro?
  • SCIENZA IN PRATICA – Che cosa sono i modelli climatici?

Può descrivere il suo lavoro? Prevede una routine oppure ogni giornata lavorativa è sempre diversa dalle altre?

Sono ricercatrice al CNR di Bologna e sono climatologa, quindi studio il clima e la sua variabilità. Il mio lavoro si svolge al computer: simulazioni numeriche, analisi dati e soprattutto scrittura di articoli per riviste scientifiche. Queste attività sono intervallate da conferenze di divulgazione e confronto. Infine, un’attività fondamentale è la ricerca di fondi. Questo comporta la stesura di progetti per bandi europei, collaborando con altri enti. Non c’è una determinata routine nel lavoro: dipende molto dalla fase in cui ci si trova. Nel momento di analisi e di pubblicazione c’è più quotidianità, ma poi bisogna sempre cercare altri fondi e quindi ci sono riunioni, incontri e scrittura dei progetti, il tutto movimenta molto le attività quotidiane.

Che cosa l’appassiona particolarmente del suo lavoro e quali sono le criticità?

Il lavoro di ricerca ha come grande vantaggio la libertà nel modo in cui si può impostare la giornata lavorativa. Quello che trovo particolarmente stimolante è la curiosità che viene fuori dal lavoro. Inoltre, ho la possibilità di conoscere persone da tutto il mondo, ho costantemente scambi con culture diverse. È un lavoro di continuo apprendimento: si scopre sempre qualcosa di nuovo e non si smette mai di imparare e di stimolare la propria curiosità. Come criticità va considerato il salario: in Italia la ricerca è retribuita meno che all’estero.

Quali sono le sue attività preferite, i momenti che la appassionano maggiormente?

Ciò che mi piace di più è la scrittura. All’inizio è stata faticoso perché ho dovuto imparare a scrivere in inglese (non me lo avevano insegnato a scuola o all’università). Superato questo scoglio, mi sono appassionata ed è una delle attività che preferisco. Amo molto anche la revisione di articoli scritti da altri: mi piace editare gli articoli, leggerli, studiarne la struttura, vedere se è corretta, se ci sono tutti i contenuti necessari. Molti lo trovano noioso, ma per me è un piacere e cerco sempre di ritagliarmi qualche momento per questo.

Qual è il percorso che l’ha portata alla sua professione?

Il mio percorso di studi si è sviluppato in itinere: dopo il diploma di liceo scientifico mi sono iscritta a quella che era allora la Facoltà di Fisica dell’Università di Bologna. Mi piaceva la fisica: avevo visitato il CERN a Ginevra e ne ero stata affascinata, volevo proseguire su questo tipo di studi. Oltre agli esami più generali, c’era la possibilità di seguire corsi che si occupavano di fisica dell’atmosfera, climatologia e meteorologia. Nell’ultimo anno iniziai a seguire questi corsi più specifici: è stato per me il momento della svolta. Mi appassionai a questi aspetti collegati alla fisica e mi laureai con una tesi sui modelli idealizzati della circolazione monsonica. Dopo la laurea entrai a far parte di un gruppo del CNR di Bologna, tra i pochissimi in Italia che si occupava di determinate tematiche, e da lì ho proseguito su questa strada. È stato un percorso inaspettato, non sapevo neanche dell’esistenza di certi mestieri.

Tra le abilità richieste dalla professione che svolge, quali derivano dallo studio e quali dal lavoro?

La maggior parte delle cose le ho imparate lavorando, probabilmente perché quando ho intrapreso il dottorato non c’erano tanti corsi dedicati ad argomenti specifici. Per esempio, ho fatto il dottorato in geofisica, dove ho approfondito tematiche che non rientrano nel mio lavoro attuale. Tante cose che ho imparato le ho studiate solo durante la tesi di dottorato. Adesso esistono dottorati di vario tipo, molto specializzati, con corsi perfettamente tagliati su ogni tipo di tematica. Nel mio caso, le conoscenze sono state maturate durante il percorso professionale: per me è stato uno sforzo in più acquisire quel bagaglio di informazioni fondamentali nello svolgimento del mestiere.

Quali capacità e attitudini bisogna avere oltre alle conoscenze scientifiche?

Ci vuole pazienza: nel mio lavoro ho rapporti con tante persone diverse, caratteri diversi; inoltre bisogna essere organizzati, pianificare il tempo in modo produttivo affinché la giornata non sia dispersiva. Occorrono anche buone capacità di adattamento e buone doti relazionali. Inoltre, nel mio caso ho dovuto vincere la timidezza: parlare in pubblico mi spaventava, durante le prime conferenze tendevo a minimizzare la mia presenza per essere meno esposta.

Però ho superato questa difficoltà, tant’è che dal 2018 al 2021 ho partecipato alla pubblicazione del report dell’ONU sul cambiamento climatico: dopo le prime riunioni, si è sciolta la tensione. Ho lavorato con molte persone di culture diverse e ho capito che gli aspetti culturali sono spesso alla base di atteggiamenti e modi di fare che possono sembrare rigidi o freddi rispetto a quello a cui siamo abituati.

Quale percorso consiglierebbe per arrivare a svolgere il suo lavoro?

Per fare ricerca sul clima consiglio una facoltà di fisica, scienze ambientali, o anche matematica. La facoltà specifica ha un’importanza marginale, ciò che conta è che sia una formazione scientifica in senso generale. Ciò che può fare la differenza è il corso di dottorato, che permette di studiare e approfondire specifici argomenti: nel mio caso il clima, il sistema terra, la gestione dei cambiamenti climatici ecc. È fondamentale seguire dottorati di questo tipo, per acquisire le informazioni di base già nella fase di studio e di preparazione alla professione. Avere la possibilità di andare all’estero, di aprirsi, di essere disponibili a viaggiare è sicuramente un valore aggiunto perché consente di avere una visione più ampia del mondo del lavoro.

Per approfondire, guarda anche il video dell’intervista ad Annalisa Cherchi e Susanna Corti nell’articolo Scenari e modelli nell’ultimo rapporto IPCC nell’Aula di Scienze.

Scienza in pratica

Che cosa sono i modelli climatici?

I modelli climatici permettono di studiare il sistema climatico e i suoi cambiamenti, anche per il futuro.  Alla base dei modelli del clima ci sono le equazioni che descrivono il moto dei fluidi, la termodinamica e la chimica (dell’atmosfera e delle altre componenti in gioco).

Le equazioni che regolano i fenomeni climatici non hanno soluzioni precise e si risolvono con integrazioni numeriche successive e, data la complessità delle soluzioni, i modelli sono elaborati usando i computer, anzi i super-computer (macchine ad alte prestazioni). Le simulazioni numeriche con i modelli del clima ci permettono di capire come cambia il clima e perché; ci consentono di eseguire esperimenti di sensitività, per vedere, per esempio, come risponde il clima cambiando determinati parametri che possono essere il tipo di superficie, l’orografia o forzanti esterni.

Ciò permette di capire perché e come il clima può cambiare e di considerare possibili climi futuri. Infatti con i modelli climatici si possono fare proiezioni a partire da possibili evoluzioni future di “forzanti atmosferici” (principalmente i gas serra e la diversa composizione dei gas dell’atmosfera) in base a scelte economiche, crescita della popolazione, uso dell’energia e altri, usando modelli socio-economici. In sostanza rendono possibile la previsione della risposta del clima a determinati scenari socio-economici.

I modelli hanno una rappresentazione geografica sulla sfera, e hanno risoluzioni che dipendono dalle capacità computazionali. Per esempio, negli anni ’90 del Novecento la risoluzione orizzontale media dei modelli all’avanguardia era di quasi 500 km, ora siamo sull’ordine dei 50-100 km. Ovviamente maggiore è la risoluzione  orizzontale, maggiore è la possibilità di avere informazioni a scale sempre più fini.

Nel mondo sono utilizzati diversi modelli del clima all’avanguardia e ci sono diversi centri internazionali che li sviluppano e li rendono disponibili. Il gruppo di ricerca nel quale lavoro è coinvolto in un consorzio per lo sviluppo di un modello europeo. Tutti questi modelli hanno caratteristiche comuni e differenze: il loro confronto permette di approfondire la comprensione del clima.

Più modelli danno esiti simili, più è probabile che stiamo andando nella direzione corretta; infine, le osservazioni climatiche sono un feedback fondamentale per valutare i modelli.

Collaboratore della Società meteorologica italiana e redattore della rivista e del sito Nimbus, nonché operatore del Comitato glaciologico italiano, Daniele Cat Berro si occupa di analisi di eventi e di lunghe serie di dati meteorologici, di monitoraggio del clima e dei ghiacciai delle Alpi occidentali e di divulgazione delle scienze dell'atmosfera e dell'ambiente attraverso lezioni, conferenze, pubblicazioni ed esposizioni a tema*. Giornalista pubblicista, scrive di meteo e clima sul quotidiano La Stampa, edizione di Torino. Dal Canavese è approdato in Val Susa, dove vive e lavora in una casa equipaggiata di pannelli solari, fotovoltaici e orto di fronte al monte Orsiera. Da trent'anni cammina nel suo ambiente naturale, tra sentieri e vette delle Alpi occidentali.

INDICE

  • Come descriverebbe il suo lavoro in poche parole?
  • Entriamo allora più nel dettaglio delle sue attività….
  • Come è  arrivato a fare quello che che fa?
  • Oggi che strada si deve seguire per lavorare nell’ambito della climatologia e della meteorologia?
  • Quali sono le possibilità di lavoro?
  • Quali sono gli aspetti più entusiasmanti e più critici del suo lavoro?
  • Quali consigli si sente di dare a chi volesse avvicinarsi alla sua professione?
  • SCIENZA IN PRATICA – Come si svolgono le misure al ghiacciaio?

  Come descriverebbe il suo lavoro in poche parole?

Non è facile, posso dire che mi occupo di progetti di ricerca, cultura e di comunicazione legati al mondo della meteorologia e del clima. Per fare qualche esempio: mi capita di scrivere articoli per un quotidiano, organizzare la logistica di una misurazione su un ghiacciaio, aggiornare la banca dati di un osservatorio meteorologico, aggiornare il sito dell’associazione di cui faccio parte, rivedere i testi di un un libro, preparare i pannelli di una mostra sul clima, rispondere a interviste come quella che stiamo facendo.

Entriamo allora più nel dettaglio delle sue attività….

Mi occupo di tante cose. Faccio parte di un’associazione, la Società meteorologica italiana (SMI), che si propone di studiare e divulgare la meteorologia, la climatologia e la glaciologia. Seguo il lavoro di gestione dell’associazione: curo il rapporto con i soci, rispondo alle telefonate, alle email, alle proposte, ma una gran parte del lavoro riguarda la rivista Nimbus, il nostro principale organo di informazione, che esce due volte all'anno. Il lavoro è tutto fatto “in casa”, a parte la stampa e la confezione, naturalmente, dalla cura dei testi – di cui in qualche caso siamo autori – alla ricerca delle foto, all’impaginazione, fino ai rapporti con la tipografia. Mi occupo poi di aggiornare il sito con notizie ed eventi. Lavoro prevalentemente al computer, nel mio studio, salvo quando esco per le misurazioni sui ghiacciai in alta montagna o per l’attività di conferenze per il pubblico.

Oltre al lavoro di gestione dell’associazione, con i miei colleghi svolgo attività di ricerca legata al mantenimento degli osservatori meteorologici storici, alla raccolta dei dati e alla conservazione delle statistiche climatologiche: si tratta a volte di aggiornare serie già digitalizzate, altre volte di recuperarle da zero a partire dai registri manoscritti originali. Lo abbiamo fatto ad esempio ultimamente con la serie di dati dell’osservatorio di Piacenza, che non era mai stata interamente digitalizzata e che sarà la base per un libro sul clima locale che pubblicheremo nel 2023.

Restando nel campo della comunicazione, nel 2022 per esempio ho lavorato alla ricerca di contenuti e alla progettazione dei pannelli di una mostra sul clima e i ghiacciai del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Si chiama Climapark ed è un’esposizione permanente visitabile tutti i fine settimana alla diga del Teleccio, in Valle Orco. Mi occupo poi della diffusione delle nostre previsioni del tempo, attraverso la radio e la carta stampata. In passato ho curato una rubrica settimanale su La Stampa con le previsioni per il fine settimana. Era un racconto su che cosa fare o non fare nel fine settimana in base al tempo. Oggi seguo per le pagine di Torino la cronaca meteorologica, con l'obiettivo di aiutare i lettori a collocare correttamente gli eventi climatici che si susseguono, fornendo loro un riscontro storico perché possano capire se l’evento in questione è normale oppure no.

Infine c’è l'attività di misura sui ghiacciai, che spesso si risolve in poche ore ma prevede una fase di preparazione che può durare diversi giorni: bisogna cercare la data giusta in cui sia previsto tempo stabile, accordarsi con i collaboratori e la logistica locale , e quando si lavora nel Parco Nazionale del Gran Paradiso – come nel caso del ghiacciaio Ciardoney - ottenere i permessi di sorvolo visto che le attrezzature per la misura vanno necessariamente portate in elicottero (vedi scheda Come si svolgono le misure dei ghiacciai?).

Come è arrivato a fare quello che che fa?

Il mio è stato un percorso estremamente non convenzionale. Fin da piccolo sono stato appassionato di meteorologia. Quando ancora facevo il liceo ho incontrato più o meno per caso la Società meteorologica italiana, presieduta da Luca Mercalli, e ho cominciato a seguirla partecipando agli incontri con i soci. Osservavo cosa facevano quelli che poi sarebbero diventati i miei colleghi e ho capito che volevo diventare come loro. Ho iniziato una collaborazione che si è via via intensificata e dopo il corso di laurea in Scienze forestali è diventata la mia professione.

Oggi che strada si deve seguire per lavorare nell’ambito della climatologia e della meteorologia?

Oggi sono più numerose le opportunità per chi è appassionato di meteorologia, climatologia, ghiacciai e temi affini. Un percorso canonico prevede l’iscrizione al corso di laurea in fisica, o in seconda battuta scienze naturali, e una specializzazione durante gli studi o successiva. Per esempio a Torino nell'ambito del corso di laurea in Fisica esiste la materia Fisica per il sistema terra e per il mezzo circumterrestre, a Bologna c’è la laurea magistrale in Fisica del sistema Terra, all’Università di Roma “Tor Vergata” c'è il curriculum in Fisica dell’atmosfera e meteorologia nel quadro del corso di laurea triennale in Fisica. L’Università di Napoli “Parthenope” propone il corso di laurea triennale in Scienze Nautiche, Aeronautiche e Meteo-oceanografiche, mentre a Trento esiste un corso di laurea magistrale in Meteorologia ambientale organizzato congiuntamente dalle Università di Trento e di Innsbruck. Anche all’estero naturalmente ci sono diverse possibilità.

Da non dimenticare i corsi di laurea in Ingegneria ambientale, offerti da diverse università e politecnici italiani, in cui non si parla tanto di meteorologia ma di tutte le applicazioni collegate.

Ci sono poi i corsi post-laurea, come il dottorato in Scienza e gestione dei cambiamenti climatici all’Università “Cà Foscari” di Venezia o il master di secondo livello in Meteorologia e oceanografia fisica dell’Università del Salento e Università Parthenope.

Quali sono le possibilità di lavoro?

Rispetto a qualche decennio fa è cresciuta la specializzazione e di conseguenza è aumentato il numero di figure lavorative coinvolte. C’è chi si occupa strettamente di previsioni del tempo, chi invece dei modelli matematici che sono alla base delle previsioni meteorologiche e climatiche, chi di comunicazione e divulgazione scientifica. Una branca che si sta sviluppando sempre di più è quella della gestione del territorio alla luce dei cambiamenti climatici.

Si può lavorare nelle diverse agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, le cosiddette Arpa, nei centri funzionali, oppure restare all’università per fare ricerca e insegnare. C’è infine chi sceglie la libera professione e magari apre uno studio di consulenza ambientale, dipende naturalmente anche dal percorso di studi seguito e dalla propria specializzazione.

Quali sono gli aspetti più entusiasmanti e più critici del suo lavoro?

Le soddisfazioni sono tante. Per esempio, grazie a questa attività molto trasversale ho avuto l'opportunità di conoscere tantissime persone molto preparate e disponibili, da cui ho imparato tantissime cose e con le quali c'è un continuo scambio di conoscenze. Un altro motivo di soddisfazione è la consapevolezza di trattare e comunicare questioni cruciali per il futuro dell'umanità. È una grande responsabilità, soprattutto quando ho di fronte un pubblico di giovani e giovanissimi, che saranno i cittadini di domani, o quando parlo a una platea estesa, come durante un’intervista in televisione o alla radio.

Quello che considero l’ostacolo principale è invece il rifiuto da parte di alcuni di accettare il consenso scientifico su un tema così importante come la crisi climatica. Da decenni ormai sappiamo che il Pianeta sta subendo un riscaldamento globale dovuto in massima parte alle attività umane legate al consumo di combustibili fossili. Eppure qualcuno si ostina a non crederlo, qualche volta in malafede, e a rallentare l’azione. Quando tengo conferenze mi piacerebbe non perdere tempo a convincere il pubblico sulle cause della crisi, ma piuttosto raccontare le soluzioni.

Gli altri aspetti critici sono quelli che riguardano tutti i lavori da libero professionista: non si bada a orari, ferie e giorni di malattia e il lavoro rischia di diventare pervasivo. Nel mio caso a volte succede, ma mi piace quello che faccio. Non riuscirei a tenere certi ritmi se facessi un lavoro che non mi piace.

Quali consigli si sente di dare a chi volesse avvicinarsi alla sua professione?

Prima di tutto dovrebbe cercare di capire qual è la propria propensione, quali sono gli argomenti che lo interessano in particolare, viste le tante specializzazioni di cui parlavamo, e scegliere il percorso di studi più affine. Poi via via scoprirà la sua strada, che sia la carriera accademica o il lavoro da libero professionista. In ogni caso a sostenerlo deve esserci una certa dose di passione, senza la quale è difficile ottenere buoni risultati.

SCIENZA IN PRATICA

Come si svolgono le misure al ghiacciaio?

Con le misure al ghiacciaio Ciardoney abbiamo due appuntamenti all'anno, uno a fine primavera e uno a fine estate. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno saliamo in quota e misuriamo lo spessore e la densità della neve sul ghiacciaio per calcolare l'equivalente in acqua, vale a dire quanta acqua si è immagazzinata durante l'inverno sotto forma di neve. Per fare questo facciamo una serie di campionamenti dello spessore della neve con sondini da valanga lungo il ghiacciaio e scaviamo delle buche nivometriche, delle specie di trincee grazie alle quali possiamo prelevare campioni lungo tutto il profilo verticale del manto nevoso, dalla superficie esterna fino a toccare lo strato – di neve o ghiaccio – rimasto scoperto alla fine dell'estate precedente. I campioni di neve vengono pesati: conoscendo spessore e densità del manto nevoso si ottiene l'equivalente in acqua. Quest’anno eravamo ai minimi storici, in media erano circa 400 millimetri di acqua, ossia un quarto del normale.

Torniamo poi a settembre, a estate conclusa ma prima delle nuove nevicate, per calcolare quanta neve e quanto ghiaccio sono fusi durante l'estate. A questo scopo ci sono delle paline di legno nel ghiaccio ad alcuni metri di profondità: via via che emergono permettono di calcolare la perdita di spessore del ghiaccio. Quello che si ottiene è il cosiddetto bilancio di massa, la differenza tra l’accumulo invernale e la fusione estiva, che è un diretto testimone delle condizioni climatiche.

 *Tra i volumi di cui è stato coautore Daniele Cat Berro, per edizioni SMS: Atlante climatico della Valle d'Aosta (2003); Climi, acque e ghiacciai tra Gran Paradiso e Canavese (2005); Duemila anni di clima in Val Susa (2018); Ultimi Ghiacci. Clima e ghiacciai nelle Alpi Marittime (2020).

Daniele Cat Berro - Misura del ghiacciaio

Per gentile concessione di Daniele Cat Berro

Daniele Cat Berro - Misura del ghiacciaio
Per gentile concesione di Daniele Cat Berro
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