Massimo è alle prese con un esercizio:
Introducendo in un sistema 8000 J di energia riesco a compiere un lavoro di 3500 J: quanto vale la capacità termica a pressione costante del sistema se registro una variazione della sua temperatura pari a 10 K?
Ecco la mia risposta:
Intanto, un consiglio accorato: se volete essere presi sul serio in un ufficio pubblico o in una banca non vi presentate in un abbigliamento trasandato. Ecco, ignorare l'ortografia scientifica è qualcosa di trasandato. Scrivere con la minuscola delle unità di misura (J e K) che vanno indicate obbligatoriamente con la maiuscola è una sciatteria. Costa poco evitarla e frutta molto in termini di reazione del vostro interlocutore.
Il primo principio della termodinamica mi dice che la variazione di energia di un sistema è uguale al calore assorbito dal sistema meno il lavoro che esso svolge sull'esterno:
ΔU = Q - W.
Il testo qui è ambiguo. Cosa vuol dire «introducendo in un sistema»? Vuol dire che al sistema si fornisce quella energia, magari sotto forma di calore? O vuol dire che l'energia del sistema varia di quella quantità? L'energia non è una sostanza che si «introduce». Nel seguito farò l'ipotesi che 8000 J rappresenti ΔU, ma si tratta soltanto di un ipotesi di lavoro.
Anche l'espressione «riesco a compiere un lavoro» è ambigua: si tratta del lavoro che compio sul sistema, o del lavoro che il sistema compie e che uso per i miei scopi? Di nuovo, per svolgere l'esercizio avanzerò l'ipotesi di lavoro che 3500 J sia il lavoro compiuto dal gas, W nell'equazione di sopra.
In queste ipotesi Q = 11500 J è il calore che il sistema assorbe dall'esterno. A questo punto, occorre un'altra ipotesi: che il processo avvenga a pressione costante. Senza questa ipotesi, non so che farmene dei dati in mio possesso. Ma l'ipotesi, come dire, non dovrebbe essere a carico del risolutore.
Sotto questa ipotesi, Cp = Q/ΔT = 1150 J/K.