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Diavoletti della Tasmania: la cattiveria non paga

I diavoletti della Tasmania rischiano l’estinzione a causa di un tumore facciale che facilmente passa da un soggetto all’altro
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I diavoletti della Tasmania, marsupiali graziosi e collerici tipici dell’isola australiana omonima, rischiano l’estinzione a causa di un tumore facciale che facilmente passa da un soggetto all’altro con i morsi che si elargiscono con tanta facilità. Oggi uno studio del DNA di questo tumore, pubblicato su Cell, ci aiuta a capirne di più.

I poveri diavoletti della Tasmania (Sarcophilus harrisii) sono colpiti fortemente da questo tumore: nelle zone endemiche più della metà degli esemplari sono infetti, mentre solo una piccola zona a nord ovest della Tasmania continua a rimanere indenne. Durante l’accoppiamento o con le lotte per accaparrasi il cibo (questi animali sono noti attaccabrighe), il tumore passa da un diavoletto all’altro con i morsi, che seminano letteralmente le cellule tumorali, sviluppando forme cistiche facciali che impediscono nel tempo l’alimentazione e che danno metastasi nel resto del corpo. Per questi motivi gli animaletti muoiono di fame o quando vengono interessati organi vitali, spesso all’apice della loro vita riproduttiva.

Colpa della diavoletta immortale
Elizabeth Murchison, genetista del Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge, oggi ha studiato la genetica di questo tipo di tumore trasmissibile. Il primo caso di questa malattia risale alla metà degli anni Novanta: sembra che il primo esemplare colpito fosse una femmina, morta ormai vent’anni or sono. Una parte di lei è ancora presente però nelle cellule tumorali, ecco perché scherzosamente la Murchison la chiama «la diavoletta immortale».

Lo studio
Lo studio pubblicato su Cell ha previsto il confronto fra la sequenza genica di cellule provenienti da un diavoletto senza tumore e da due soggetti colpiti, ma di due popolazioni lontane. Dal confronto delle diverse sequenze è emerso che a oggi il tumore trasmissibile presenta ben 17 mila mutazioni. Alcune di queste sono a carico di due geni implicati nella cancerogenesi anche nell’uomo: RET e FANCD2. Inoltre presentano delezione genica in quei loci deputati alla sintesi di proteine di membrana implicate nel riconoscimento da parte del sistema immunitario. Probabilmente proprio per questo le cellule tumorali si moltiplicano indisturbate eludendo il sistema immunitario dell’ospite.

 

Schema dello studio della Murchison (Imamgine: Cell)

 

Speranze per il futuro
La Murchison vuole ora raccogliere più campioni da diavoletti colpiti, per comprendere quali mutazioni siano implicate in un peggiore andamento clinico, oltre a vedere se è possibile fare paragoni con tumori umani per i quali sia già presente una terapia mirata. Una ulteriore speranza è quella di isolare i geni che sono espressi solo dalle cellule cancerose, e non da quelle sane. Iniettare un vaccino che stimoli la produzione di anticorpi contro i prodotti di questi geni potrebbe essere una soluzione per ridurre la dimensione e la diffusione in situ del cancro.
 

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