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L'emofilia e il congelatore

La cura dell'emofilia è legata alla diffusione dei freezer nelle case dei malati. Oggi sembra ovvio avere un freezer, ma negli anni '60 questo elettrodomestico ancora raro ha reso la vita da disabili degli emofilici, costretti a lunghe attese in ospedale, a un'esistenza normale.
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Il protagonista della storia di oggi è un freezer. Sì, un banalissimo congelatore come quello che ognuno di noi ha in cucina. Oggi lo diamo per scontato, ma quel congelatore non è sempre stato nelle nostre case. Soprattutto non era affatto comune nelle abitazioni dei bambini emofilici che nei primi anni ’60 ricevevano la terapia appena nata a base di fattore VIII – la molecola mancante nel loro sangue – e che avrebbe permesso loro di sopravvivere. Ma prima di arrivare a quel frigorifero vi propongo un breve ripasso della storia dell’emofilia e delle sue cure.

Il più famoso errore nella genetica umana è quello che si verificò negli augusti testicoli di Edoardo, Duca di Kent, provocando la mutazione responsabile dell’emofilia trasmessa alle famiglie reali di mezza Europa da sua figlia, la regina Vittoria”. In questa descrizione di Steve Jones (tratta da Darwin – L’eredità del primo scienziato globale) trovate già una prima ragione della fama plurisecolare dell’emofilia, che va ben al di là dell’incidenza relativamente bassa di questa malattia (la forma più comune, il tipo A, colpisce circa un maschio su 5-10.000 nati).
 
Edoardo, duca di Kent, padre della futura regina Vittoria,
portatrice sana della mutazione che causa l’emofilia
(immagine tratta da wikipedia).
 
Se trovate un testo di scienze che non parla di emofilia, fatemi un fischio. Sebbene non sia certo l’unica malattia recessiva che viene trasmessa ai figli maschi attraverso il cromosoma X, non c’è manuale che non racconti come le mamme portatrici sane passino l’emofilia ai loro figli. In effetti la vicenda di sangue nobile aiuta insegnanti e studenti a ricordare come si ereditano i caratteri legati ai cromosomi sessuali e a comprendere la differenza fra un allele dominante e uno recessivo.
 
La trasmissione di un carattere recessivo tramite il cromosoma X
(immagine tratta da http://ghr.nlm.nih.gov/ {{PD-USGov-HHS-NIH} tramite wikipedia).
 
Ma ciò che colpiva di più l’immaginazione fino a mezzo secolo fa erano i bambini malati, obbligati a stare a letto immobilizzati da emorragie e dolori terribili, senza alcuna speranza di cura e con un’aspettativa di vita che non superava i vent’anni.
 
Gli studi che hanno cambiato tutto questo sono iniziati negli anni ’30 in Gran Bretagna, con le ricerche di laboratorio che hanno cominciato ad analizzare la composizione del sangue e a individuare i fattori coinvolti a cascata nella coagulazione. La Seconda guerra mondiale, con la grande richiesta di sangue necessaria a curare milioni di feriti, ha poi sviluppato la capacità di frazionare le diverse componenti ematiche e di effettuare trasfusioni di plasma (il plasma è il liquido in cui sono sospese le cellule del sangue). Per parecchio tempo le trasfusioni sono state l’unica terapia disponibile agli emofilici.
 
Il progresso più importante è avvenuto negli anni ’50 a Oxford, quando Ethel Bidwell, nel laboratorio diretto da Robert Macfarlane, è riuscita a preparare il fattore VIII in una forma concentrata che avrebbe potuto essere somministrata ai pazienti. Stiamo parlando di un lavoro eroico: il sangue era raccolto nei locali macelli di bestiame e trasportato in laboratorio per essere frazionato e concentrato tramite strumenti assai rudimentali. La disponibilità di fattore VIII per i pazienti era però limitata dal fatto che la preparazione, fatta su ordinazione per ogni paziente, non si poteva conservare.
 
La rivoluzione successiva è stata la crioprecipitazione, ossia la scoperta che il fattore VIII e altre molecole mancanti in forme diverse di emofilia si potevano ottenere tramite centrifugazione ad alta velocità del plasma fresco congelato.
 
E qui veniamo al freezer. Per ricevere il fattore VIII i pazienti, soprattutto bambini, dovevano andare all’ospedale e questo comportava la perdita di molti giorni di scuola e vite assai complicate per le famiglie di questi ragazzi, obbligati a condurre un’esistenza da disabili. Per fortuna Katharine Dormandy, un medico molto influente presso il Royal Free Hospital di Londra, riuscì a ottenere fondi per comprare dei freezer per le case di queste famiglie (oggi il reparto di emofilia dell’ospedale è intitolato al suo nome). L’idea era che se i pazienti avessero avuto a casa un freezer, e se il freezer fosse stato dotato di un allarme in grado di segnalare ogni interruzione di elettricità (il crioprecipitato si deteriora molto rapidamente dopo lo scongelamento), avrebbero potuto curarsi senza andare all’ospedale: una condizione necessaria per dare a questi bambini una vita normale.
 
Gli emofilici non hanno smesso di soffrire grazie al freezer. Le malattie trasmesse dalle trasfusioni di sangue infetto, dalle varie forme di epatite all’AIDS ai timori per la sindrome di Creutzfeldt Jakob, hanno portato altra sofferenza in vite già molto difficili, prima che ci fossero test in grado di testare la sicurezza degli emoderivati. Ma il freezer di casa è stata comunque una grande conquista.
 
La medicina moderna è una storia soprattutto di farmaci e di trattamenti che hanno reso alcune malattie se non guaribili quanto meno curabili. Raramente queste storie raccontano le condizioni materiali e di contorno, che hanno permesso a una terapia di essere accettata da chi ne ha bisogno e in ultimo di avere successo. Ho conosciuto questa storia attraverso il lavoro di Tilly Tansey, professoressa di Storia della medicina alla Queen Mary University di Londra e specializzata nella raccolta delle vicende mediche recenti, specialmente dell’ultimo secolo.
 
Tilly Tansey ha un metodo particolare di raccogliere le sue fonti: raduna attorno a un tavolo i testimoni di una certa vicenda e li fa parlare. La storia del frigorifero non era scritta in alcun documento o articolo scientifico finché la professoressa Tansey l’ha raccolta dalla viva voce dei protagonisti. È una storia orale e anche la scienza ha tante storie orali che meritano di essere conosciute (qui potete ascoltare un'intervista alla professoressa Tansey raccolta da The Naked Scientist).
 
Sir Peter Medawar, premio Nobel per la medicina nel 1960, ha scritto che l’articolo scientifico è una frode in un testo del 1964 per il grande pubblico. Con questa provocazione Medawar non intendeva dire che gli articoli raccontino delle bugie. Piuttosto voleva sottolineare che la struttura rigida e formale della letteratura scientifica non lascia spazio al racconto delle vicende umane che stanno dietro la ricerca e che spesso rappresentano una delle motivazioni più importanti per il progresso. Proprio come il freezer per cura dell’emofilia.

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