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La vedova di Hampstead e il colera di Haiti

Duecento anni fa nasceva John Snow, il primo ad avere capito che il colera contagiava i londinesi nell'Ottocento non tramite l'aria, ma attraverso l'acqua del Tamigi, contaminata dagli scarichi fognari. La lezione di John Snow è ancora utile oggi, ed è servita a identificare l'origine dell'epidemia di colera che ha colpito Haiti nel 2010.
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Dopo che Susannah Eley si era trasferita ad Hampstead, in collina, diceva che le mancava l’acqua di Soho. Era più buona, secondo lei, l’acqua del suo vecchio quartiere a Sud di Londra. Così i suoi parenti le mandavano quasi ogni giorno dei barilotti con l’acqua raccolta dalla pompa di Broad Street (oggi Broadwick Street). L’ultima scorta le arrivò il 31 agosto 1854. Il 2 settembre, la vedova Susannah Eley era morta di colera.

Il colera è una diarrea violenta e rapidissima. Una persona può essere in piena salute, bere la mattina dell’acqua contaminata da Vibrio cholerae e morire prima di sera, se non viene curata. Il problema è la disidratazione: la diarrea da colera è talmente liquida che senza reintegrare l'acqua, i sali e gli zuccheri, una persona su due muore. Con una banalissima flebo idratante la mortalità scende all’1%. Ma all’epoca di Susannah Eley nulla di tutto questo era noto: né le cause, né le cure, né il modo in cui il colera si trasmette all'uomo fin dall'antichità (descrizioni di colera si trovano in testi in sanscrito di 3000 anni fa).
 
Il Vibrio cholerae, il batterio che provoca il colera,
osservato al microscopio elettronico (da Wikipedia).
 
"Sudicia" era la migliore parola per descrivere Londra a metà Ottocento, secondo lo storico della medicina Richard Barnett. Londra era già una città enorme, ricchissima e potente. Era la capitale di uno dei più grandi imperi mai esistiti al mondo, ma il suo sistema fognario era sostanzialmente rimasto uguale dal Medioevo. Fino al 1820 circa, la maggior parte delle case aveva un buco al posto della toilette, collegato a una fossa settica in cantina. Il contenuto della fossa veniva svuotato all’incirca una volta al mese e portato fuori città a fertilizzare i campi. I gabinetti come li conosciamo si diffusero dal 1830 circa, ma avere un lavabo e un WC in casa significava che l’acqua doveva entrare e poi anche uscire. Per questo si erano sviluppate reti fognarie primitive: gruppi di tubature scarsamente connesse fra loro, che gettavano gli scarichi nel Tamigi.
 
Il Tamigi è un fiume agitato dalle vicine maree che due volte al giorno rimescolano le acque. Potete immaginarvi gli olezzi, all’epoca di tutti questi scarichi puzzolenti, e la qualità dell’acqua potabile, anch’essa prelevata dal fiume. Oggi è evidente che la miscela mefitica era all’origine delle epidemie di colera, ma allora tutto questo era ben poco ovvio. Filippo Pacini e Robert Koch avrebbero isolato il Vibrio cholerae nella seconda metà dell’Ottocento, e prima delle loro scoperte nessuno immaginava che le malattie fossero causate da microrganismi sconosciuti, invisibili a occhio nudo.
 
La maggiore preoccupazione dei medici dell’epoca erano i cattivi odori. L’idea era che la gente si ammalava di malattie come il colera o il tifo respirando i miasmi, ossia l’aria cattiva che si innalzava da tutto il materiale in decomposizione presente in città. Se fossero però bastati i miasmi a diffondere le malattie, perché i morti di colera erano concentrati a Soho piuttosto che ad Hampstead? La teoria non reggeva, i cattivi odori erano diffusi un po’ dappertutto, mentre le malattie infettive erano concentrate più in certi posti che in altri. Stabilire però i veicoli di trasmissione era urgente perché soltanto nel 1831 e nel 1848, due epidemie di colera avevano spazzato via 74.000 persone in tutta la Gran Bretagna e un nuovo contagio era appena iniziato, nel 1854, quando in poche settimane erano morti Susannah Eley, ad Hampstead, e altre 500 anime, a Soho.
 
John Snow era un medico che compilava mappe di fantasmi. Sì, nel tempo libero, quando non era impegnato a salvare qualche paziente dal colera, prendeva delle mappe dettagliate dei quartieri di Londra e ci disegnava sopra delle barre. Più una barra era alta, più erano i morti in quel punto della città. Oggi quelle statistiche e quei grafici li faremmo in un attimo con un computer e un foglio di calcolo, e avrebbero l’aspetto della riproduzione interattiva che vedete sotto. Snow però faceva tutto a mano ed era precisissimo, tanto che con le sue piantine di strade e morti era riuscito a convincere anche i più energici sostenitori della teoria dei miasmi che il colera era trasmesso dall’acqua. Ma non da tutta l’acqua di Londra: l’imputata principale era quella che sgorgava dalla pompa di Broad Street.

Perché la probabilità di morire di colera era 14 volte più alta a Soho che ad Hampstead? Snow aveva la statistica dalla sua parte, ma aveva bisogno di qualche elemento in più per provare che l’acqua era veramente il problema. Si mise così a studiare il modo in cui l’acqua potabile raggiungeva i quartieri a Sud di Londra. Scoprì così che la Southwark and Vauxhall, la società che riforniva la pompa di Broad Street, prelevava l’acqua da una delle anse più sporche e inquinate del Tamigi. La Letham Waterworks, pescava invece l’acqua in una zona più a nord del fiume, in cui finivano meno scarichi, e infatti nelle zone rifornite da questa società i casi di colera erano assai meno frequenti.

 
John Snow (dal sito di UCLA)
 
È l’8 settembre 1854. Un gruppo di uomini si avvicina alla pompa di Broad Street e rimuove il rubinetto. Per quest’azione, cui in verità non ha partecipato di persona, John Snow è passato alla storia, per avere stoppato, insieme alla cannella dell’acqua, un’epidemia mortale. In realtà il merito di questo medico inglese, nato 200 anni fa, è ancora più grande. Le sue mappe, i suoi grafici, il suo sistema meticoloso di associare il numero dei morti di un’epidemia a una precisa area geografica e quindi al più probabile veicolo di diffusione, sono generalmente considerati come il fondamento del lavoro dell’epidemiologo.
 

A metà fra il detective e lo statistico, l’epidemiologo cerca indizi sul campo che sono importantissimi ancora oggi. Lo si è visto ad Haiti, durante l’epidemia di colera che è iniziata apparentemente dal nulla il 15 ottobre 2010. Dieci mesi prima, a gennaio, Haiti era franata sotto le rovine di un terremoto terribile e quando in autunno è esplosa l’epidemia c’era ancora un grande caos. Dal 2010 si sono ammalate gravemente 700.000 persone, ossia il 7% della popolazione, e più di 8000 sono morte.
 
Appena hanno saputo dell’epidemia di Haiti, alcuni medici hanno fatto avere al laboratorio di Matthew Waldor, ad Harvard, alcuni campioni di diarrea di persone che si erano ammalate, e così ad Harvard hanno iniziato ad analizzarli. Molto rapidamente gli scienziati hanno ottenuto la sequenza del genoma del Vibrio cholerae trovato in campioni provenienti da diverse parti di Haiti all’inizio dell’epidemia, e l’hanno quindi paragonata a quella di campioni ottenuti dall’Asia e dall’America latina.
 
Fra gli esperti molti pensavano che il colera di Haiti provenisse da qualche ceppo presente in America latina. Il colera non si era più visto in Sud America per circa un secolo, prima dell’epidemia che ha colpito il Perù nel 1991, e non aveva mai raggiunto Haiti. C’era però stato il terremoto e allora si poteva immaginare che il vibrione fosse in qualche modo arrivato dal mare e da lì fosse entrato nelle tubature dell’acqua di Haiti.
 
Il genoma del vibrione del colera di Haiti era però molto diverso da quello latino americano, ed era invece identico al genoma del colera che aveva colpito vari paesi dell’Asia meridionale negli ultimi anni. Ma come era arrivato fino ad Haiti dall’Asia? Se oggi lo sappiamo, dobbiamo ringraziare certamente le moderne sequenze uscite dal laboratorio di Matthew Waldor, che permettono di ricostruire l’albero genealogico e quindi gli spostamenti dei batteri nel mondo. Il merito è però anche di un epidemiologo vecchio stile, Renaud Piarroux, che ha raccolto indizi andando in giro a piedi fra i malati e i fiumi che danno acqua agli Haitiani. Proprio nello stile di John Snow.
 
Renaud Piarroux ha dimostrato che l’epidemia è iniziata in un villaggio confinante con un campo di aiuto umanitario dell’ONU, il cui personale era appena arrivato da Katmandu in Nepal. Lì, appena due settimane prima, era iniziata un’epidemia di colera, ma nessuna delle persone giunte in aiuto ad Haiti aveva alcun sintomo (il 75% delle persone infette non è sintomatica). Proprio dagli scarichi del campo ONU, che finivano in uno dei principali fiumi di Haiti, si è diffusa l’epidemia.
 
La mappa della diffusione del colera ad Haiti
all'inizio dell'epidemia, lungo il fume Artibonite (dal sito di UCLA)
 
La posizione del campo Onu per gli aiuti umanitari, lungo il fiume Artibonite
 
Come il colera che colpì Londra nell’Ottocento era probabilmente arrivato in Gran Bretagna tramite un marinaio di Amburgo, il ceppo che ha contaminato Haiti è arrivato attraverso un’attività umana. Oggi come allora, non si contano le epidemie scoppiate come effetto collaterale della laboriosità e degli spostamenti dell’uomo. Fin dal tempo dei maialini portati insieme all’influenza alle Antille da Cristoforo Colombo. Certo, oggi la tecnologia accelera le indagini, ma senza occhi capaci di osservare e piedi in grado di camminare fra i fuochi e le ceneri di un’epidemia, è ancora difficile identificare come è iniziata un’infezione e cercare di spegnerla rapidamente.
 
Una lezione da tenere a mente, anche per una malattia come il colera che ancora oggi uccide più di 100.000 persone e ne fa ammalare fino a 5 milioni ogni anno.
 
Per scrivere questo post mi sono ispirata al bellissimo speciale, dedicato all’eredità di John Snow da The Naked Scientist. Da lì ho iniziato un’esplorazione che mi ha portato al ricchissimo sito dedicato a John Snow e all’epidemia di colera ad Haiti da UCLA. Inoltre ho consultato l’articolo che Matthew Waldor e colleghi hanno pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2011, con la sequenza del Vibrio cholerae trovato ad Haiti.

Se volete approfondire, potete guardare questa lecture sulla storia del colera, di Andrew Hayward (University of Pittsburgh). E se capitate a Londra, mi raccomando, fate un salto al John Snow Pub.
Le fonti delle immagini sono indicate nelle didascalie. L’immagine di apertura, con la ricostruzione della pompa di Broad Street, proviene da Wikiepdia.
Se leggendo vi è venuto il desiderio di aiutare la popolazione di Haiti, vi consiglio Pane Condiviso, una piccolissima associazione in provincia di Udine, presente da anni nell’isola con un piccolo gruppo di suore instancabili. Tramite Pane Condiviso mia figlia e io ci siamo impegnate ormai da tre anni a sostenere il percorso scolastico lungo otto anni di una ragazzina haitiana.

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