Nel 2007 il titolo era contemplativo: Quanto è piccolo il mondo. Ma dopo 16 anni, un’eternità nella scienza e nella tecnologia, si è deciso di ammiccare all’universo di Harry Potter con un audace Materiali fantastici e come crearli (Zanichelli, 2023). Marketing a parte, è il titolo giusto per parlare di tecnologie che permettono di realizzare oggetti che solo pochi decenni fa sarebbero sembrati davvero «magici».
Lo smartphone, per esempio. Se nell’anno in cui andava in stampa la prima edizione era ancora una novità per pochi, ora non possiamo fare a meno di questo computer multifunzione tascabile. E dobbiamo ringraziare la nanotecnologia, che ha permesso di miniaturizzare i componenti elettronici e allo stesso tempo aumentare la potenza e la capacità dei dispositivi. Ecco cosa scrive a riguardo l’autore del libro Gianfranco Pacchioni, ordinario di chimica dei materiali presso l’Università Milano Bicocca:
Ecco, direi che la miniaturizzazione associata alla aumentata capacità di elaborazione dello smartphone ci danno la rappresentazione più plastica, diretta ed efficace delle potenzialità delle nanotecnologie. Al punto che possiamo tranquillamente affermare che nelle nostre vite c’è un prima e un dopo lo smartphone, e sono profondamente diversi.
Si potrebbero fare altri esempi, come i LED a quantum dot che oggi troviamo in alcuni televisori. Rappresentano uno dei risultati commerciali prodotti da decenni di ricerche che proprio quest’anno hanno ricevuto il premio Nobel per la fisica. Le potenzialità dei quantum dot, cioè nanoparticelle che generano effetti quantistici, non si limitano all’intrattenimento domestico e possono avere applicazioni importanti nella ricerca biomedica e nello sviluppo del fotovoltaico. Altre nanotecnologie ci sembrano meno «magiche», ma forse è solo perché non ci pensiamo abbastanza. Per esempio, quando ci spalmiamo una crema solare non facciamo caso al fatto che contiene nanoparticelle: sono proprio queste che filtrano selettivamente i raggi ultravioletti e ci permettono di abbronzarci. E forse non tutti sanno che con nanoparticelle molto simili si realizzano rivestimenti autopulenti: colpiti dalla luce ultravioletta catalizzano reazioni chimiche che rimuovono gli inquinanti che si depositano sulla superficie.
Che siano già in commercio, in fase di sviluppo o agli inizi della ricerca le nanotecnologie sono davvero tante, e ancora di più sono le loro applicazioni (reali o potenziali), che spesso toccano ambiti lontanissimi tra loro. Per esempio il grafene, uno dei protagonisti di questa edizione, è una specie di passe-partout nanotecnologico. Si tratta di un foglio di atomi di carbonio disposti in una rete esagonale, con eccellenti proprietà meccaniche e proprietà elettriche peculiari che possono essere sfruttate dall’ingegneria aerospaziale all’elettronica.
Per raccontare tutto questo Pacchioni parte dai fondamentali: in principio l’idea di manipolare la materia a scala nanometrica era solo nell’immaginazione degli scienziati. Come quelle macchine fantastiche descritte da Primo Levi (che è stato chimico, oltre che grande scrittore), le cui parole ci accompagnano in ogni capitolo.
L’immaginazione ha cominciato gradualmente diventare realtà: nanotubi, fullerene, grafene, nanoparticelle, miniaturizzazione dei circuiti elettronici, nuove tecniche microscopiche. Tutte innovazioni cruciali che nel libro sono descritte in maniera accessibile e rigorosa. Nel farlo, l’autore racconta anche la storia dietro le scoperte, portandoci nei laboratori e presentandoci le persone che le hanno realizzate.
Le scoperte, poi, devono essere applicate, e qui Gianfranco Pacchioni ci fa fare un bagno di realtà:
Attenzione: non tutte le cose che sembravano promettenti quindici anni fa si sono poi tradotte in prodotti di mercato o applicazioni utili. È questo il destino delle tecnologie: si intraprendono molte strade che sembrano portare a risultati eclatanti ma poi, per un motivo o per un altro, si finisce su un binario morto. Sono finite nel dimenticatoio molte più tecnologie potenzialmente interessanti di quelle che si sono fatte strada per arrivare sino a noi. È la norma, e lo sa bene chi si occupa di trasformare le scoperte scientifiche in applicazioni pratiche. Non a caso, gli addetti ai lavori chiamano «valle della morte» il periodo di tempo tra la creazione di una innovazione a livello di ricerca fondamentale e la sua commercializzazione.
Insomma, non tutte le meraviglie che leggiamo come possibili sono effettivamente realizzabili. Per esempio quello del transistor molecolare pare un sogno infranto. Prometteva di farci oltrepassare gli attuali limiti alla miniaturizzazione dei circuiti tradizionali, ma questo approccio si è rivelato poco pratico. In compenso il computer quantistico vent’anni fa era al limite della fantascienza e oggi è una realtà (ma non aspettatevi di trovarlo nelle vostre case).
La pervasività delle nanotecnologie impone anche una riflessione etica, a cui l’autore non si sottrae. Gli autori di fantascienza hanno immaginato macchine molecolari artificiali capaci di riprodursi autonomamente e quindi di diffondersi nell’ambiente come un virus (una macchina molecolare naturale) ai danni della nostra specie. Non si tratta di uno scenario molto credibile, ma questo non significa che le nanotecnologie siano prive di rischi. Come per tutte le tecnologie che entrano nella società occorre valutare con cura rischi e benefici, evitando risposte di pancia che potrebbero compromettere gli sviluppi futuri. Non solo: bisogna anche fare in modo che i benefici siano per tutti, e secondo l’autore lo sviluppo delle nanotecnologie per il bene dell’umanità dipende anche da tutti noi.
Scrive l’autore:
Conoscere meglio come funzionano, cosa comportano e cosa promettono le nanotecnologie del futuro prossimo è un passaggio obbligato e fondamentale per garantire che contribuiscano a migliorare la nostra vita, a ridurre i nostri bisogni, a mitigare le disuguaglianze, e non certo ad aumentare i nostri crucci.
La copertina di Materiali fantastici e come crearli, edito da Zanichelli