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Distruggere per ricostruire: una nuova strada per i trapianti

A 50 anni dal primo trapianto, la chirurgia dei trapianti potrebbe essere vicina alla svolta grazie alla nuova tecnica decel/recel che permette di ricostruire organi in laboratorio
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Sono passati 50 anni da quando, il 3 dicembre del 1967, il chirurgo sudafricano Christiaan Barnard eseguì il primo trapianto di cuore. Da allora la chirurgia dei trapianti ha collezionato molti successi, ma c'è ancora un ostacolo difficile da superare: la disponibilità di organi. Nonostante le campagne per sensibilizzare alla donazione di organi, le liste di attesa sono in continuo affanno. Il trapianto da donatore non è quindi in grado di rispondere a tutte le richieste, per non parlare delle continue terapie immunosoppressive che deve seguire chi riceve un organo. Da qualche anno i ricercatori stanno provando a ricostruire organi in vitro sfruttando l’impalcatura molecolare della matrice extracellulare (ECM) di organi già formati, come quelli di maiale. Questa tecnica, chiamata decel/recel, sta dando i primi risultati e un gruppo di ricercatori della Miromatrix ha dimostrato che è possibile eliminare tutte le cellule di un fegato per rigenerarne uno nuovo: la prossima tappa sarà ricostruire organi con cellule umane da usare per i trapianti nell’uomo senza dover ricorrere a donatori esterni.
 

Ricostruire organi nuovi

Il campo della medicina rigenerativa cerca da anni di sviluppare una valida alternativa al trapianto, seguendo due principali filoni di ricerca: la rigenerazione di organi interi a partire da cellule staminali e l’uso di organi da animali geneticamente modificati per rendere le loro cellule simili a quelle umane e ridurre il rischio di rigetto. Queste due strategie hanno però alcuni limiti che hanno rallentato la loro applicazione: per esempio, la generazione di organi in vitro si scontra con la difficoltà di ricostruire la struttura tridimensionale dell’organo. È un limite non trascurabile, perché un organo non è un semplice raggruppamento di cellule e la sua funzionalità dipende dai rapporti reciproci tra i diversi tipi di cellule che lo formano.  

La terza strada

Per superare questi limiti, di recente la ricerca si è indirizzata verso una via intermedia: la tecnica, chiamata in gergo decel/recel, si basa sulla eliminazione (decellularizzazione) delle cellule da organi già formati, per esempio provenienti da animali, e sulla successiva ricellularizzazione dell’organo con cellule umane. La decellularizzazione viene eseguita con detergenti che distruggono le cellule dell’organo, ma lasciano intatta la preziosa architettura della ECM (chiamata anche scaffold, impalcatura in inglese) che farà da impalcatura tridimensionale per la ricostruzione dell’organo. Fino a oggi questa tecnica è stata eseguita con successo solo su piccole porzioni di tessuto a causa della difficoltà di eliminare del tutto le cellule da organi voluminosi come il fegato. La svolta potrebbe però essere vicina: i ricercatori della Miromatrix sono riusciti a decellularizzare un fegato di maiale grazie a opportuni detergenti che sono stati infusi nell’organo sfruttando la rete di vasi sanguigni dell’organo. Questo ha permesso di raggiungere anche gli interstizi più in profondità e di eliminare tutte le cellule. Lo scaffold ripulito è stato poi “ripopolato” con successo infondendo i tre tipi di cellule che formano il fegato: epatociti, cellule dei dotti biliari e cellule endoteliali per i vasi sanguigni. Guidate dai segnali molecolari dello scaffold e dall’albero vascolare ancora intatto, le cellule si sono posizionate autonomamente nelle posizioni corrette ricostruendo la struttura tridimensionale dell’organo. I risultati dello studio sono stati presentati al congresso della American Association for the Study of Liver Diseases, come riportato dalla rivista New Scientist.
Organi decellularizzati (immagine dal sito della Miromatrix).  
Verso organi su misura? Fino a oggi gli esperimenti si sono concentrati su organi e cellule di maiale, ma la tecnica dimostrata che i tempi sono maturi per passare dalla generazione di singoli strati di tessuto in vitro a organi completi. Entro tre anni i ricercatori sperano di rigenerare fegati umani ricostruiti su scaffold di maiale. Per il momento è stato fatto solo un esperimento preliminare con cellule endoteliali umane: una volta infuse nello scaffold, le cellule hanno ricostruito l’albero dei vasi sanguigni. Una volta trapiantati in un maiale, i nuovi vasi hanno permesso la perfusione sanguigna dell’organo fino a quando, come atteso, non sono stati rigettati dal sistema immunitario dell’animale. Oltre al fegato, i ricercatori stanno sperimentando una tecnica simile anche per la ricostruzione del pancreas, dei reni e dell’intestino. La strada per arrivare al primo trapianto è però ancora lunga e sarà necessario testare a lungo la sicurezza di questi nuovi organi.   -- Immagine Banner: Miromatrix Immagine Box: Pixabay
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