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Geni e ribelli

Ignaz Semmelweis. Storia di un incompreso

150 anni fa moriva Ignaz Semmelweis, il geniale medico ostetrico che ha scoperto la trasmissione batterica della malattie. Ma nella Vienna asbugica nessuno gli credette, lasciando un'eredità scientifica che è stata rivalutata solo dopo la sua tragica scomparsa
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«Nel XVIII secolo non esistevano! Nessuno aveva nemmeno immaginato un cosa simile - nessuno sano di mente, almeno. Poi arriva questo dottore… Semmelweis, mi pare, che cerca di convincere la gente… [...] che esistono queste piccole “cose cattive” invisibili che possono entrare nel tuo corpo e ti fanno ammalare!»

È una battuta di Jeffrey, il malato di mente interpretato da Brad Pitt ne L’esercito delle 12 scimmie, film del 1995 diretto da Terry Gilliam. La scena si svolge di notte nella struttura di detenzione dove lui e Cole (Bruce Willis) sono prigionieri. Mentre Cole è preoccupato dai ragni, Jeffrey gli espone una teoria in perfetto stile complottistico. Protagonisti? I germi e un tale dottor Ignaz Semmelweis che un secolo e mezzo prima cerca di far capire ai suoi colleghi medici che le malattie sono causate da piccoli agenti invisibili che vengono chiamati germi e che la soluzione per limitare i contagi è lavarsi le mani. Non gli credono, lo accusano di avere una fervente immaginazione: come si può pensare che la causa dei contagi sia qualcosa che non si può vedere? Dove sono le prove fisiche della sua teoria? Non ne ha. E ironia della sorte, il 13 agosto di centocinquant’anni fa Semmelweis muore, ritenuto pazzo, in un manicomio austriaco, probabilmente per la cancrena dovuta a una ferita non curata adeguatamente.

 

Chi era Ignaz Semmelweis?

Nato nel 1818 a Buda, la metà della città che oggi chiamiamo Budapest, Ignaz (talvolta riportato anche come ‘Ignac’) Fülöp Semmelweis è il figlio di una famiglia benestante di origine tedesca. Dopo aver studiato nella vicina Pest, si sposta a Vienna, la capitale dell’Impero Austro-ungarico, dove inizialmente studia legge. Ma capisce presto che la giurisprudenza non fa per lui e preferisce passare a medicina, che è più nelle sue corde. Nel 1844 ottiene dall’Università di Vienna il dottorato con una specializzazione in ostetricia e due anni più tardi viene nominato assistente professore alla clinica ostetrica dell’Ospedale generale di Vienna. Si tratta di una struttura pubblica, portata all’eccellenza medico-scientifica per volontà dell’imperatore Giuseppe II sul finire del Settecento, uno di quei sovrani che si ricordano come esponenti del dispotismo illuminato.

La clinica ostetrica, come molte istituzioni del genere sparse per l’Europa, offre assistenza gratuita alle partorienti. L’idea è che in questo modo si limiti il ricorso all’infanticidio, pratica che non si confà allo Stato di colui che, a capo del Sacro Romano Impero, è incoronato per volere papale. In cambio delle prestazioni mediche gratuite, trattandosi di una clinica universitaria, gli studenti possono fare pratica sulle pazienti. Quando Semmelweis prende servizio, però, la situazione non è delle migliori. Nonostante il reparto sia gestito alla perfezione e sfrutti tutte le più avanzate tecniche mediche dell’epoca, la mortalità delle puerpere è altissima: si ammalano di una febbre, accompagnata da brividi e tachicardia, che è difficile superare. Molte donne preferiscono tenersi alla larga dall’ospedale e persino le prostitute preferiscono partorire per strada che correre i rischi che comporta varcare la porta della clinica.

Che cosa ha scoperto?

A colpire molte delle neomamme assistite all’ospedale di Vienna è la febbre puerperale, una patologia che oggi sappiamo essere causata da una serie di germi, come lo Streptococco o Escherichia coli, che infettano l’endometrio, la mucosa che ricopre l’utero femminile e che durante il parto può venire lacerata in diversi punti, facilitando la strada agli agenti infettivi. Ma all’epoca di Semmelweis nessuno li aveva mai visti e l’opinione più diffusa tra i medici è che le causa della febbre si debbano cercare altrove: il blocco delle feci dovuto all’ingrossamento dell’utero per la gravidanza, i fluidi che ristagnano all’interno dell’utero stesso o altre spiegazioni simili. Semmelweis, però, nota un fatto. Anzi due. Il primo è che un collega medico, Jacob Kolletschka, dopo essersi ferito durante l’autopsia del cadavere di una delle puerpere, si ammala di una malattia con sintomi molto simili alla febbre puerperale e muore. Il secondo fatto è che nel padiglione della clinica dove i medici non esercitano, ma le puerpere sono assistite solamente dalla infermiere e dalle balie, il tasso di mortalità è sensibilmente più basso, come mostra la tabella dell’andamento dei due rami della clinica:

Prima Clinica

Seconda clinica

Anno

Nascite

Decessi

Tasso (%)

Nascite

Decessi

Tasso (%)

1841

3.036

237

7,8

2.442

86

3,5

1842

3.287

518

15,8

2.659

202

7,6

1843

3.060

274

9,0

2.739

164

6,0

1844

3.157

260

8,2

2.956

68

2,3

1845

3.492

241

6,9

3.241

66

2,0

1846

4.010

459

11,4

3.754

105

2,8

L’unica differenza nell’assistenza al parto, nota Semmelweis, è che le infermiere, a differenza dei medici e degli studenti di medicina, non praticano e non assistono alle dissezioni di cadaveri. Semmelweis si accorge che i medici non si lavano le mani dopo aver lasciato il tavolo anatomico per assistere una partoriente, favorendo così il trasferimento di germi, la causa della febbre puerperale. L’intuizione e la correlazione dei due fatti, però, non sono sufficienti a convincere il giovane medico, che si rivolge alla direzione dell’ospedale per effettuare un esperimento che, oggi, definiremmo epidemiologico. Per alcuni mesi, tutti i medici e gli studenti che prestano servizio nella clinica ostetrica prima di passare da un reparto all’altro, e in particolare dalla dissezione dei cadaveri all’assistenza per il parto, si devono lavare la mani con l’ipoclorito di calcio, una sostanza che ancora oggi viene usata per la disinfezione delle acque. Dopo il periodo di sperimentazione, il numero delle morti per febbre puerperale cade vertiginosamente, riavvicinando le statistiche dei due padiglioni della clinica. Semmelweis ha una conferma lampante della correlazione tra scarsa igiene e contagio, e ha individuato un modo per migliorare la pratica clinica. Ma se un grande traguardo del pensiero è a un passo dall’essere raggiunto, la difficoltà di far vedere agli altri ciò che lui ha compreso gli impedirà di compierlo.

Qual è stata la sua eredità scientifica?

Quando Semmelweis espone ai colleghi i risultati della sperimentazione, auspicando di poterli pubblicare il prima possibile per diffondere la scoperta, si trova di fronte a una reazione inaspettata. Gli si para davanti uno di quei muri di gomma che respingono l’evidenza statistica e usano argomenti irrazionali per costringere l’avversario a rinunciare. In quei mesi, gli viene detto, ha costretto i medici a una pratica indecorosa, priva di alcun fondamento reale. Lavarsi le mani per eliminare qualcosa che non possiamo vedere è ridicolo e se le puerpere vengono chiamate a lasciare questo mondo dal buon Dio, chi è Ignaz Semmelweis per contraddirne la volontà? Che lasci subito il proprio impiego, piuttosto, e rinunci alla sua assurda idea.

Colpito senza possibilità di replica, Semmelweis non può che chinare il capo, ma non si arrende. Troverà altri modi per far conoscere al mondo la sua intuizione e i risultati della sua sperimentazione. Privo di una posizione accademica, scrive a colleghi dentro e fuori l’Impero, senza però che il suo pensiero venga mai davvero compreso. La voce inglese di Wikipedia segnala una lunga lista di risposte alle sue lettere da parte di illustri medici europei, con qualche apprezzamento, ma senza che alcuno di loro riesca davvero a comprendere la portata dell’intuizione di Semmelweis. Inoltre, per la mentalità dell’epoca, era difficile accettare che potessero essere proprio i medici, coloro che dovevano salvare le vite umane, a portare la morte con le loro mani. Siamo forse noi gli assassini, si chiedevano i colleghi all’ospedale di Vienna? Noi che abbiamo votato la nostra vita alla conoscenza e a Ippocrate? Si trattava di un’idea, seppur portatrice di verità, che per loro era inaccettabile.

Semmelweis è deluso: mentre il mondo sta cambiando, con venti di cambiamento che cominciano a soffiare sull’Europa del Risorgimento, la comunità medica è immobile sulle proprie posizioni. Un vena di depressione si fa strada nel suo animo, ma non si da ancora per vinto e lavora a un libro che oltre ai risultati ottenuti all’ospedale di Vienna sia un vero e proprio compendio di lotta contro la febbre puerperale. Intitolato in ungherese A gyermekágyi láz kóroktana, l’«eziologia della febbre puerperale», viene pubblicato nel 1858 e successivamente tradotto in tedesco e altre lingue. Nel libro Semmelweis dimostra, dati alla mano, che la reintroduzione dell’obbligo della dissezione anatomica per i medici dell’ospedale di Vienna è coinciso con l’aumento della mortalità delle neomamme:
L'andamento dei decessi nelle cliniche ostetriche di Dublino (in blu) e Vienna (in rosa) tra il 1754 e il 1848. La linea grigia verticale è posizionata in corrispondenza del 1823, quando la dissezione dei cadaveri è stata reintrodotta come pratica obbligatoria per i medici viennesi.

Ma ancora non basta, perché manca la prova schiacciante, quella della reale correlazione tra malattia e germi. Arriverà a metà degli anni Sessanta dell’Ottocento, grazie al lavoro di Louis Pasteur, un chimico francese che però pubblicherà solo nel 1880 un articolo scientifico (De l'extension de la théorie des germes à l'étiologie de quelques maladies communes) che dimostrerà in modo inequivocabile che sono alcuni germi a provocare la febbre puerperale. Ma per Semmelweis è troppo tardi. La sua mente non è più lucida, in parte ossessionato dalle sue idee, in parte delirante: viene riunchiuso in un istituto per malati mentali dove muore nel 1867.

Qual è l’eredità di Semmelweis oggi?

Nel 1938 non c’era ancora la notte degli Oscar come la conosciamo, ma i premi dell’Academy americana per i migliori film venivano già assegnati. E nella categoria “miglior soggetto per un cortometraggio” vince That Mothers Might Live (“Che le madri vivano”). Lo dirige Fred Zimmerman, un giovane regista di origine austriaca dall’enorme talento (5 statuette complessive in carriera), e la pellicola è una sorta di piccola docu-fiction perfettamente in linea con la fiducia nel progresso scientifico e tecnologico dell’epoca. Il film si apre con alcune immagini che mostrano un ospedale americano all’avanguardia, “una delle visioni più comuni del nostro mondo moderno”. Un luogo dove si combatte la malattia e si ridà la salute alle persone, ma che era già “stato sognato da un uomo un secolo fa”. Quell’uomo era, ovviamente, Ignaz Semmelweis. È stato lui a comprendere prima di chiunque altro che le nostre mani possono essere veicolo di trasmissione di agenti infettivi che minacciano la nostra salute. Ogni volta che un medico si lava le mani o che indossa dei guanti di lattice, ogni volta che curiamo la nostra igiene e quella dei luoghi dove viviamo stiamo lottando per salvaguardare la nostra salute dai germi, «queste piccole “cose cattive” invisibili che possono entrare nel tuo corpo e ti fanno ammalare» e che lui aveva compreso prima di tutti. O, per usare la parole di Louis Ferdinand Céline che al medico ungherese dedicò la tesi in medicina del 1924«la sua opera è eterna. Tuttavia, nella sua epoca, venne assolutamente misconosciuta. [...] Pasteur doveva rischiarare con una luce più potente, in modo totale e irrefutabile, la verità microbica. In quanto a Semmelweis, sembra che la sua scoperta superasse le forze del suo genio».

That Mothers Might Live (1938) di Fred Zinnemann, Premio Oscar come miglior cortometraggio a una bobina
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