Immagine di copertina per gentile concessione di Luana Fusaro
Luana Fusaro è psicologa e psicoterapeuta clinica e si occupa in prevalenza di età evolutiva. Il suo lavoro si divide fra un ambulatorio in un servizio di neuropsichiatria infantile dell’ausl di Bologna, la libera professione, una docenza universitaria, dei laboratori per insegnanti e delle collaborazioni con associazioni che offrono corsi di orientamento in ottica di genere alle scuole. Parola d’ordine: essere molto specializzata in un settore per permettersi di spaziare e di non annoiarsi mai.
INDICE
- ►Che cosa trova più esaltante del suo lavoro?
- ►Ci spiega che cosa fa una psicologa nel Servizio sanitario nazionale?
- ►Ci spiega che cosa fa invece una psicologa nelle scuole?
- ►Tra le esperienze che ha maturato, quali sono le più utili per il suo lavoro?
- ►Come si arriva a fare il suo lavoro?
- ►Perché ha scelto questo lavoro?
- ►Che cosa è bene sapere se si vuole fare il suo lavoro?
- ►CONCETTI IN PRATICA - Laboratorio di orientamento di genere nelle scuole medie
PER APPROFONDIRE
- ►I numeri delle professioni: psicologia
- ►Leggi anche: Aiutare le persone a stare bene sul posto di lavoro, intervista a Sarah Chreyha, psicologa, formatrice e consulente aziendale
Che cosa trova più esaltante del suo lavoro?
Sicuramente la sua eterogeneità, ossia la possibilità di lavorare a molti progetti diversi. Non mi annoio mai: il lavoro è sempre nuovo, perché sia in ambito clinico sia di formazione mi trovo di sempre di fronte a nuovi stimoli che richiedono la necessità continua di aggiornamento. Le mie giornate sono sempre poco ripetitive, questo perché lavorando di fatto da libera prifessionista” svolgo attività diverse fra di loro.
Il secondo aspetto che mi piace molto è lavorare con le persone e sfruttare la relazione che si instaura con chi ho davanti (pazienti, ragazzi, insegnanti, genitori) per svolgere la mia professione. Lavorare anche con gli insegnanti e con tutte le figure del mondo infantile per me è molto arricchente perché richiede di mettere in campo strategie di relazione differenti.
Ci spiega che cosa fa una psicologa nel Servizio sanitario nazionale?
Chiaramente dipende dal ruolo che hai: puoi lavorare in ospedale, oppure sul territorio, cioè in ambulatori, come nel mio caso, un po’ come il medico di base. Io lavoro presso il servizio di Neuropsichiatria infantile dell’ausl di Bologna, dove gestisco un ambulatorio. In Ausl lo psicologo è un dirigente, come lo è un medico cardiologo in cardiologia, per esempio, che significa che ha piena autonomia nella gestione dei casi che gli vengono attribuiti. Personalmente gestisco un ambulatorio dove non devo riferire a un neuropsichiatra ma gestisco autonomamente i pazienti; se vengono affidati a me significa che necessitano di un percorso psicologico o psicoterapeutico (io sono anche psicoterapeuta). Come prima visita di solito si fa il cosiddetto “assessment” cioè l’inquadramento diagnostico del minore, con colloqui con lui o lei e con i genitori. Si possono somministrare test psicodiagnostici, se necessario, e poi, in caso di diagnosi, c’è la vera e propria presa in carico con la proposta di trattamento. La cosa bella del servizio pubblico è la possibilità di lavorare in equipe con i medici, i fisioterapisti, i logopedisti, e via dicendo.
Ci spiega che cosa fa invece una psicologa nelle scuole?
Si possono fare cose diverse, dipende dal progetto che viene affidato. Funziona così: le scuole emettono dei bandi a cui uno psicologo può partecipare. Il bando può richiedere di garantire uno sportello di ascolto per ragazzi, genitori e insegnanti, ad esempio, oppure dei progetti da fare in classe. Io ho lavorato molto come sportello di ascolto, sia per i ragazzi per che gli insegnanti. Di solito se una persona chiedeva un supporto si proponevano 3-4 incontri per capire dove indirizzarla rispetto alle sue esigenze. Altri progetti a cui ho lavorato prevedevano attività in classe, e progetti su tematiche specifiche. Lo psicologo può anche essere chiamato dalla scuola per interventi nelle classi come esperto esterno per gestire ad esempio dinamiche conflittuali ed episodi di bullismo, per migliorare il clima relazionale. Attualmente mi sto occupando di un progetto diverso, che prevede un laboratorio per l’orientamento di genere nelle scuole medie, dove facciamo riflettere i ragazzi e le ragazze su quanto le loro scelte rispetto al futuro possano essere influenzate da bias di genere, come la convinzione che i maschi siano più bravi delle ragazze su alcune materie, e viceversa.
Tra le esperienze che ha maturato, quali sono le più utili per il suo lavoro?
La chiave per me è la formazione continua, tramite ECM (crediti annui obbligatori per uno psicologo iscritto all’ordine professionale). Io ho sempre orientato la formazione in modo molto proficuo e specifico. Nel mio caso è stata la scelta vincente. Uno dei limiti quando ci si approccia alla psicologia è che ci sono talmente tanti ambiti da approfondire che si rischia di perdersi, di non identificare facilmente dove collocarsi.
La seconda cosa che mi ha aiutata a capire “chi ero” è aver fatto tanta gavetta. Una volta laureati, gli psicologi hanno scelto alla laurea magistrale una direzione, ma che non è ancora una vera specializzazione. All’interno della psicologia clinica, sella psicologia del lavoro e via dicendo, ci sono tantissime branche, e contesti diversi dove mettere in pratica cosa si è imparato. Siamo obbligati a un periodo di tirocinio obbligatorio prima di poter accedere all’esame di stato, e io in quel periodo non mi sono risparmiata. Ho cercato di fare più attività di tirocinio, e sono state tutte esperienze che l’hanno arricchita molto, e che mi hanno permesso di osservare il valore del mio lavoro in vari contesti.
Come si arriva a fare il suo lavoro?
Io non avevo il sogno di fare la psicologa sin da ragazzina, ma è una possibilità che ho iniziato a considerare alla fine del liceo. Ho scelto la scuola superiore – il liceo scientifico - sulla base delle passioni che avevo in quel momento: mi incuriosiva la scienza e mi sono buttata su quello che mi appassionava. Oggi penso che sia stata la scelta migliore: aver assecondato quello che ero, che sentivo. Poi in cinque anni si matura, ci si evolve, e vengono fuori le nostre peculiarità, molto più che a 13 anni. Bisogna darsi tempo. Al liceo ha scoperto di essere appassionata di filosofia e in particolare della mente umana e dalle relazioni fra le persone. Così ho scelto psicologia. Alla laurea triennale il primo anno era indifferenziato, mentre dal secondo anno c’era la possibilità di iniziare a scegliere gli esami più in linea con il nostro sentire. Solo alla laurea specialistica (oggi si chiama Laurea magistrale) si poteva fare una scelta, e io mi sono iscritta a psicologia clinica e di comunità. Le alternative erano la psicologia del lavoro, la psicologia cognitiva, la psicologia sociale, dell’educazione e altre. Una volta laureata volevo toccare con mano l’ambiete clinico e quindi ho svolto un tirocinio in ospedale e presso un servizio di neuropsichiatria infantile. Sentivo però che avevo bisogno di ulteriori strumenti per approcciarmi ai pazienti, e quindi una volta superato l’esame di stato da psicologa mi sono iscritta a una scuola di specializzazione in psicoterapia, quadriennale.
Nel frattempo ho iniziato a guardarmi intorno per cercare dei lavori che mi permettessero da una parte di pagare la scuola di specializzazione, che è privata e che a differenza delle scuole di specializzazione dei medici non prevede uno stipendio, ma al contrario una retta. Dall’altra volevo iniziare a esplorare anche altre possibilità, oltre a quella ospedaliera. È stato il momento più difficile del mio percorso: gli amici iniziavano a lavorare e a essere autonomi, mentre io avevo davanti ancora almeno quattro anni, e mi trovavo ancora in parte a dipendere dai miei genitori, senza il cui aiuto non sarei riuscita a sostenere questo periodo. Bisogna tirare fuori la grinta in questi casi, guardarsi intorno, provare diverse cose. Ho iniziato a partecipare ai bandi per le scuole, a collaborare coin il dipartimento di psicologia dell’Università di bologna dove facevo laboratori nelle scuole sul cyberbullismo: tutto questo messo insieme mi permetteva di avere delle entrate e intanto di orientare il mio percorso. Nel frattempo ho iniziato l’attività di psicologa da libera professionista qualche pomeriggio a settimana. Nel 2015 mi sono specializzata e ho potuto partecipare al bando in ASL presso il reparto di neuropsichiatria, dove ho vinto un monte ore settimanale. Difficilmente ci sono bandi full time, ma per me questo è una risorsa per come sono fatta, perché con una partita iva, che è compatibile con certi contratti nel pubblico, posso svolgere le altre attività che mi interessano.
Perché ha scelto questo lavoro?
Alla fine della scuola superiore mi sono fatta una domanda: “tu come sei fatta?” La risposta è stata che io ero fatta per la relazione. Ero affascinata dal mondo della psiche umana e dalle dinamiche delle relazioni fra le persone, dalla comunicazione non verbale e verbale. Ma di fatto credo che la questione che per me è stata vincente sia stata quella di ragionare su come ero io in quel momento, non su quello che sarebbe stato bello diventare sulla carta. Volevo fare ciò che mi avrebbe permesso di esprimere al meglio le mie caratteristiche. All’inizio era una sensazione, un’intuizione, che piano piano è diventata una consapevolezza e mi ha permesso negli anni di formazione di ritagliarmi un modo di gestire la professione che è adatto a me.
Per concludere, che cosa è bene sapere se si vuole fare il suo lavoro?
Bisogna essere in grado di tollerare il fatto di darsi tempo per capire chi siamo e cosa vogliamo fare. Bisogna sapere che è un lavoro che richiede flessibilità e che all’inizio dà poca stabilità. Bisogna avere voglia di esplorare, di darsi da fare accettando lavori che magari non sono quello dei sogni ma che possono comunque dare tanto nel periodo di formazione. Bisogna avere fiducia che il bagaglio che si sta costruendo è prezioso ed è una grandi risorsa per il futuro.
CONCETTI IN PRATICA
Laboratorio di orientamento di genere nelle scuole medie
Attualmente collaboro con l’associazione Bateson, un’associazione che propone progetti in ambito psico-pedagicoco nelle scuole, in particolare, insieme ad altri colleghi, io gestisco un laboratorio per l’orientamento di genere nelle scuole medie, dove facciamo riflettere i ragazzi e le ragazze su quanto le loro scelte rispetto al futuro possano essere influenzate da bias di genere, come la convinzione che alcune professioni siano più “da femmine” e altre “da maschi”. Si tratta di idee ancora molto diffuse fra i ragazzini, e fanno sì, per esempio, che molte ragazze interessate a materie scientifiche o più orientate alle professioni manuali si sentano in dubbio rispetto alla possibilità di iscriversi a una scuola più scientifica o tecnica perché si sentono ancora fuori luogo. In questo caso non è la scuola ad aver emesso un bando. Qui lavoro con un’associazione privata, l’Associazione Bateson, la quale partecipa a bandi esterni, per esempio della città metropolitana (Bologna nel mio caso) o della Rete CapoD, comunità di aziende per le pari opportunità che unisce alcune grandi realtà aziendali del territorio bolognese. Questo progetto viene proposto gratis alle scuole. La finalità è far rilfettere i ragazzi sugli di stereotipi di genere nelle professioni. Dal lato pratico si traduce in attività laboratoriali di gruppo pensate in modo da far emergere quali sono le loro convinzioni per arrivare insieme a comprendere che queste derivano da idee che rientrano negli stereotipi di genere. Dopo una fase di lavoro insieme si propongono anche delle attività individuali, per aiutare ogni singolo ragazzo a capire la sua strada. È incredibile quanto siano ancora molto radicati questi stereotipi nelle nuove generazioni, anche se apparentemente i giovani sembrano molto attenti in questo senso. Noi abbiamo scelto di lavorare con i maschi e con le femmine insieme, perché il nostro obiettivo è creare una cultura di genere per fare in modo che tutti e tutte siano in grado di legittimarla.