È l’unica officina farmaceutica dello Stato. Si chiama Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare e adesso si trova a Firenze. La sua esistenza risale a circa due secoli fa, quando il re Vittorio Emanuele II approvò l’istituzione di un laboratorio chimico farmaceutico predisposto alla lavorazione dei preparati d’uso con sede a Torino. Con l’inizio del Novecento, questa struttura diventa essenziale per la produzione di chinino dello Stato, il farmaco che in quell’epoca ebbe una grande efficacia nella lotta contro la malaria.
Dopo la Prima Guerra Mondiale lo Stabilimento si trasferisce a Firenze e nel tempo sviluppa una linea produttiva su un’ampia gamma di specialità farmaceutiche e di medicamenti, specializzandosi anche in prodotti cosmetici e alimentari.
Uno dei motivi per cui ancora oggi lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare è un centro di grande importanza è che questo è l’unico luogo in Italia dove, dal 2015, dietro disposizione del Ministero della Salute e della Difesa, viene coltivata e prodotta cannabis per uso medico. Per capire meglio come funziona questa coltivazione e come viene poi impiegata la cannabis medica, abbiamo intervistato Paolo Poli, presidente della Società Italiana Ricerca Cannabis (SIRCA).
La coltivazione della cannabis medica
Entrare nella sezione dedicata alla coltivazione di cannabis presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare è come entrare in un vero e proprio laboratorio farmaceutico e per questo motivo ci sono varie regole da rispettare. Innanzitutto, è necessario indossare indumenti sterili, come tuta, guanti, occhiali e copricapo, per evitare qualsiasi tipo di contaminazione. Poi, anche la coltivazione deve rispettare regole ben precise. La cannabis viene coltivata interamente indoor, quindi in ambiente chiuso, e in idroponica, cioè in acqua, e in particolare in un’acqua altamente controllata e priva di metalli pesanti. Spiega il dottor Poli:
È importante sorvegliare al massimo il substrato in cui la pianta cresce perché questa pianta è davvero eccezionale in questo senso: assorbe tutte le sostanze tossiche del terreno, quando ci sono, tanto che, per fare un esempio, nella Terra dei Fuochi, viene usata proprio per ripulire il terreno stesso.
Un altro elemento che è necessario controllare è l’esposizione alla luce. Le piante sono, infatti, disposte sopra a tavoli metallici che si alzano e si abbassano per permettere di essere illuminate in maniera uniforme. Infatti, se questo non avvenisse, la porzione più alta della pianta catturerebbe più luce, mentre quella più bassa ne catturerebbe meno. Ciò che della pianta interessa, a fini terapeutici, è il fiore perché è nel fiore che sono contenuti i principi attivi. Per questo motivo, in questo tipo di coltivazione si deve evitare che i fiori disposti più in alto contengano una maggiore concentrazione di principi attivi perché più esposti alla luce, e viceversa i fiori più in basso ne contengano meno. Le coltivazioni di cannabis medica, dunque, sono altamente monitorate affinché la concentrazione dei principi attivi sia standardizzata ed equalizzata.
Quali sono i principi attivi utili a fini terapeutici?
Di cannabis conosciamo bene due principi attivi importanti, cioè il delta-9 tetraidrocannabinolo (THC), che è il principale responsabile per gli effetti psicoattivi, e il cannabidiolo (CBD). Di questi dobbiamo controllare sempre che, nelle coltivazioni di cannabis medica, la concentrazione sia costante. Però ci sono tanti altri principi attivi come i terpeni, i flavonoidi e molti altri che ancora non conosciamo.
Paolo Poli anticipa anche un elemento che riguarda la corretta somministrazione di questo farmaco:
Ogni patologia richiede percentuali di THC e CBD specifiche, non possiamo usare lo stesso tipo di cannabis per tutte le patologie. Per esempio, l’epilessia deve essere trattata solo con CBD perché il THC è epilettogeno, cioè potrebbe provocare proprio delle crisi epilettiche.
La lavorazione della cannabis medica
Ogni anno lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare produce circa 300 chilogrammi di cannabis medica, ma il fabbisogno nazionale si aggira intorno alle 2-3 tonnellate. La carenza viene compensata grazie all’importazione da alcuni paesi europei, come Olanda, Germania e Portogallo e da alcuni paesi extra-europei, come Israele e Canada.
Il prodotto, che viene comprato dalle farmacie territoriali o ospedaliere dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, è costituito dalle infiorescenze essiccate e macinate. Anche il processo di macinazione è altamente controllato per garantire una maggiore omogeneità del contenuto dei principi attivi in tutta la massa. La cannabis medica che viene invece acquistata dai pazienti è sottoforma di olio, dal sapore non troppo gradevole, e viene presa per bocca. Precisa Paolo Poli:
Al momento solo le farmacie galeniche – che in Italia sono un centinaio circa – sono in grado di estrarre dal prodotto essiccato la cannabis finale, ma nel prossimo futuro ci saranno delle aziende produttrici di cannabis che venderanno gli oleoliti già pronti: il farmacista non farà altro che diluirli, a seconda della richiesta del medico.
Per quali patologie è consigliato l’uso di cannabis medica?
Abbiamo visto che le patologie che risentono favorevolmente del trattamento con cannabis sono quasi tutte le patologie del sistema nervoso centrale, come per esempio, l’Alzheimer e il Parkinson; funziona abbastanza bene anche nel dolore neuropatico, come il dolore causato dalla sciatalgia o dall’herpes del fuoco di Sant’Antonio. E poi, in ambito clinico, funziona molto bene nella fibromialgia e nelle patologie reumatologiche.
In ambito oncologico, la cannabis medica può avere un’azione sinergica con i farmaci oppioidi, tipo morfina e ossicodone, perché ne può ridurre il dosaggio. Infine, la sua azione antidepressiva può essere sfruttata in tutti i casi in cui è utile ridurre il dosaggio dei farmaci antidepressivi.
Ma come accade per tutti i farmaci, anche per la cannabis medica i pazienti possono rispondere al trattamento in maniera diversa. Racconta Paolo Poli:
Una cosa importante, a questo riguardo, che mi colpì alcuni anni fa, era che se avevo di fronte tre pazienti con tremori da Parkinson e davo loro lo stesso dosaggio e le stesse concentrazioni di principi attivi, vedevo che a uno passavano completamente i tremori, al secondo paziente rimanevano un po’, mentre sul terzo non notavo alcun effetto.
Una ventina di anni prima, Poli, da sempre impegnato nella terapia e nella cura del dolore, aveva eseguito uno studio sulla morfina e aveva scoperto che l’azione di questo farmaco non dipendeva solamente dai recettori per la morfina, ma anche dal trasporto della molecola e dal suo ingresso nella cellula. Continua Paolo Poli:
Sulla base di questa analogia ho quindi voluto condurre uno studio su 700 pazienti che ci ha permesso di distinguere, a seconda della risposta più o meno efficace al trattamento con cannabis medica, i pazienti come buoni responder, medio responder e non responder.
A distinguere queste categorie sono delle differenze genetiche a carico di quattro geni diversi, responsabili della produzione di proteine coinvolte nell’assorbimento e nell’ingresso della molecola nella cellula. La strada da percorrere per la comprensione di questi meccanismi è ancora lunga, spiega Poli:
Bisogna, però, continuare ancora su questa linea di ricerca, ma è complicato perché non abbiamo i finanziamenti delle case farmaceutiche che potrebbero stimolare la produzione di più lavori scientifici. Le grandi case farmaceutiche non sono infatti interessate a produrre cannabis medica perché, a un certo livello produttivo, è molto complicato ottenere un prodotto standardizzato. E poi la via di produrre una cannabis sintetica non è nemmeno percorribile perché i suoi principi attivi, il THC e il CBD, quando sono sintetici, non funzionano come quelli naturali, addirittura il THC può essere mortale.
Gli effetti collaterali della cannabis medica
A differenza delle sostanze usate a scopi ludici e ricreativi, la cannabis medica non ha gli effetti collaterali associabili alla psicosi tossica, cioè allucinazioni ricorrenti, stati ansiosi o paranoidi. Infatti, il basso dosaggio dei principi attivi all’interno di cannabis medica favorisce la quasi assenza di quegli effetti collaterali. Spiega Paolo Poli:
È uno dei maggiori punti di forza della terapia a base di cannabis. Tuttavia, gli effetti collaterali che si riscontrano più facilmente sono transitori e dose dipendenti, quindi la maggior parte delle volte basta ridurre il dosaggio per farli scomparire.
Tra gli effetti collaterali più comuni della cannabis medica ricordiamo la sonnolenza e la secchezza delle fauci. Poi l’aumento degli stati ansiosi, soprattutto nelle prime fasi di trattamento, che però nell’arco di 15-20 giorni diminuisce rapidamente. E infine ci può essere un aumento della frequenza cardiaca, per cui è sempre importante accertarsi che il paziente non abbia disturbi del ritmo cardiaco.
E se un paziente decide di smettere l’assunzione di cannabis medica perché sta bene? Questa la risposta di Poli:
Nell’arco di una settimana, prendendo una goccia in meno al giorno, un paziente riesce a interrompere la terapia. La dipendenza da cannabis medica è molto blanda e negli anni ho visto che i pazienti la riescono a gestire molto bene.
La cannabis medica in Italia
L’Italia è stato il primo paese in Europa a far riconoscere la cannabis come un farmaco. Dal 2006 i medici possono prescrivere preparazioni contenenti le sostanze attive a base di cannabis per uso medico e dall’anno successivo è consentito importare queste preparazioni dall’estero. Nel 2014 viene firmato un accordo tra Ministero della Salute e della Difesa per ottenere cannabis medica presso lo Stabilimento Chimico Farmaceutico di Firenze e nel 2015 inizia la produzione vera e propria.
Al momento, l’iter per la prescrizione e l’acquisto di cannabis medica è competenza dei singoli Sistemi Sanitari Regionali, quindi le modalità possono essere diverse regione per regione. C’è però un fattore che limita ancora l’impiego di questi farmaci. Spiega Poli:
Uno degli elementi che rende complicata la prescrizione di cannabis è che è un farmaco off label, cioè la responsabilità di eventuali complicanze sul paziente ricade direttamente sul medico che l’ha prescritta.
D’altra parte, le terapie a base di cannabis medica sono fortemente personalizzate. Conclude Paolo Poli:
L’impiego corretto di cannabis, per il trattamento delle malattie che abbiamo elencato in precedenza, prevede uno stretto follow up con il paziente, quindi una fortissima personalizzazione della terapia. Solo così è possibile trovare la giusta combinazione tra dosaggio e tipologia di cannabis adatti al paziente che stiamo trattando.
immagine di copertina: grejak / 123RF
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La facciata dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, a Firenze (immagine: Wikipedia)
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Olio estratto da cannibis (immagine: grejak / 123RF)