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Ordine e caos: la danza delle proteine disordinate

Quello che sembrava un disordine senza senso è in realtà una flessibilità strutturale che ha molti vantaggi e un enorme potenziale terapeutico

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Le hanno chiamate Proteine Intrisicamente Disordinate o IDP (Intrinsically Disordered Proteins): un nome non molto lusinghiero, che di certo non ha contribuito a vederle di buon occhio e non ha incentivato a studiarle.

Da quando è stato scoperto, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, il disordine strutturale delle IDP è stato interpretato come un’eccezione che confermava la regola – dove per regola si intendeva l’ordine delle strutture secondarie che si potevano osservare in tante altre proteine.

Non tutti, però, si sono lasciati scoraggiare e – grazie a numerosi studi condotti negli ultimi due decenni – oggi sappiamo che le proteine disordinate sono molto più comuni di quanto potessimo immaginare. E c’è di più: la loro presenza non è affatto marginale, perché oltre a svolgere un ruolo di primo piano come registe di molte funzioni cellulari, sono anche al centro di patologie come le malattie neurodegenerative e i tumori.

In tempi più recenti, qualcuno ha provato a ribattezzare le proteine disordinate in dancing proteins, proteine danzanti: forse questo appellativo così poetico non troverà mai spazio nei libri di testo, ma di certo descrive molto bene il dinamismo con cui le strutture delle IDP si muovono per svolgere le funzioni più disparate. Quello che all’inizio sembrava un disordine senza senso è in realtà una flessibilità strutturale che ha molti vantaggi e un enorme potenziale terapeutico.

Ordine e Caos

Provate a pensare alla struttura di una proteina: l’immagine sarà forse quella di una struttura tridimensionale in cui si succedono, in modo ordinato e regolare, gli elementi tipici delle strutture secondarie: α-eliche e foglietti-β, uniti tra di loro da strutture meno ordinate – ma molto brevi – chiamate loop e β-turn.

Questo aspetto ordinato è importante non solo per raffigurare le proteine. Da quando Linus Pauling ha condotto i suoi primi studi sulla struttura delle proteine, si è sempre più consolidato il paradigma sequenza-struttura-funzione, secondo cui la funzione di una proteina dipende dalla sua struttura tridimensionale che, a sua volta, rispecchia la sequenza ordinata di amminoacidi codificati dalla sequenza del gene per quella proteina.

Questo paradigma è stato il leitmotiv degli studi di biologia strutturale degli ultimi decenni e ha permesso di raggiungere risultati importantissimi sul piano terapeutico: basti pensare ai farmaci che agiscono come inibitori o attivatori di una proteina, la cui struttura è progettata a livello molecolare per permettere il riconoscimento di molecole con una precisa conformazione tridimensionale.

Eppure, le cose non sono sempre così chiare, semplici e ordinate: a ricordarcelo, ci sono le proteine intrinsicamente disordinate. In soluzione, le IDP non presentano una struttura tridimensionale stabile che può essere definita secondo α-eliche o foglietti-β. Il disordine strutturale delle IDP, che può riguardare tutta la proteina oppure solo alcune sue parti (chiamate Intrinsically Disordered Regions, IDR), non è un artefatto sperimentale e, soprattutto, non è affatto una rarità.

Gli studi condotti negli ultimi anni dimostrano che i proteomi di organismi appartenenti ai tre domini della vita contengono un numero considerevole di strutture disordinate. La percentuale di disordine sembra inoltre aumentare con la complessità degli organismi: se archea ed eubatteri contengono il 2% e il 4,2% di IDP, negli eucarioti questa percentuale schizza al 33%. In altre parole, negli eucarioti circa 1 proteina su 3 contiene porzioni disordinate lunghe almeno 40 amminoacidi: un numero che non può più essere ignorato.

Il disordine delle proteine non è quindi limitato a una manciata di casi trascurabili e merita di essere studiato con attenzione. Ma da che cosa è causato questo disordine?

Un disordine geneticamente determinato

Nelle proteine ordinate, la formazione di regolari strutture secondarie dipende dal tipo di amminoacidi presenti nella struttura primaria, che a sua volta è determinata dalla sequenza genica che codifica per quella proteina.
Lo stesso avviene nelle IDP, in cui il disordine è determinato a livello genetico da una sequenza genetica che, una volta tradotta nella corrispondente sequenza di amminoacidi, porta a due caratteristiche principali:

  • l’assenza di una parte centrale idrofoba e compatta (il cosiddetto core), che è invece presente nelle proteine ordinate;
  • la presenza di molti amminoacidi polari o carichi, che facilita un’interazione più libera con il mezzo acquoso in cui le IDP sono immerse.

Queste e altre osservazioni strutturali sulle IDP sono il risultato di nuovi sistemi di indagine che oggi permettono di cogliere caratteristiche che sfuggivano ai sistemi di studio più tradizionali. Un contributo fondamentale è arrivato da Alpha Fold, un sistema di apprendimento automatico che ha rivoluzionato gli studi di biologia strutturale sul folding delle proteine.

Marco Boscolo ha parlato di Alpha Fold in questo approfondimento dell’Aula di Scienze: Intelligenza artificiale e struttura delle proteine

La maggior parte delle strutture proteiche presenti nel Protein Data Base è stata dedotta in passato da analisi di cristallografia ai raggi X. Ma quando si tratta di proteine o regioni intrinsicamente disordinate, la cristallografia può davvero poco.
Difficile bloccare in una forma cristallina regioni proteiche così “sfuggenti” che, in soluzione, tendono a fluttuare tra conformazioni tanto diverse: questo limite, in passato, veniva talvolta superato eliminando le regioni disordinate per facilitare la cristallizzazione della proteina. Le informazioni contenute nelle regioni disordinate non sono però trascurabili e oggi vengono catalogate in database dedicati, come DisProt, gestito dall'Università di Padova.

Un disordine che ha il suo perché: come funzionano le IDP

Il disordine delle IDP non è una trascuratezza biologica passata inosservata. Se così fosse, i processi evolutivi non avrebbero conservato, in tutti i domini della vita, centinaia di strutture disordinate. Rimane però il dubbio di come queste proteine svolgano le loro funzioni nella cellula – tanto più che, in molti casi, si tratta di funzioni fondamentali come la regolazione del ciclo cellulare, l’apoptosi, il differenziamento o la risposta allo stress.

Secondo il paradigma classico, un’interazione specifica tra molecole richiede un riconoscimento tra strutture complementari ben definite. Questo principio è alla base, per esempio, del meccanismo con cui un ormone o una citochina riconoscono il proprio recettore. Ma nel caso delle IDP, come funziona il riconoscimento? In altre parole, come fanno le IDP con la loro struttura indefinita e disordinata a interagire con altre molecole?

Possiamo immaginare la struttura flessibile delle IDP come uno stato di “attesa vigile”: non appena la IDP interagisce con uno dei suoi partner molecolari, la struttura passa da uno stato di disordine a uno più ordinato. Questa transizione stabilizza il folding delle regioni disordinate in un processo chiamato folding upon binding, cioè le IDP acquisiscono una specifica struttura tridimensionale solo dopo essersi legate a un’altra molecola, alla cui forma si adattano.

La plasticità conformazionale delle IDP è però così ampia che anche il modello folding upon binding non è del tutto accurato. Anche dopo il legame, molte IDP sembrano infatti conservare una certa flessibilità e formano quelli che sono stati definiti complessi fuzzy (cioè sfocati, confusi), senza che questo comprometta la loro capacità di svolgere una funzione specifica.

L’idea che si sta facendo strada è quindi che la struttura delle IDP non oscilli tra uno stato non legato/disordinato e uno stato legato/ordinato, come un interruttore on/off. Piuttosto, le IDP sembrano oscillare tra complessi caratterizzati da un grado variabile di disordine, che variano in modo molto dinamico: se un complesso è più o meno “fuzzy” dipende dalle condizioni termodinamiche specifiche di quel complesso, così come da altre variabili presenti nella cellula, come la temperatura o il pH.

Un disordine con tanti vantaggi

Il disordine strutturale delle IDP inizia sempre più ad apparire non come un limite o un difetto di progettazione ma come un grande vantaggio: è infatti alla base della plasticità conformazionale che permette alle IDP di interagire con numerose biomolecole e, di conseguenza, di regolare molte funzioni cellulari.

Questo comportamento è in netto contrasto con quello delle proteine più ordinate, la cui struttura più rigida limita il numero di partner molecolari con cui può avvenire l’interazione. Invece, la “malleabilità” delle IDP amplifica lo spettro d’azione e le porta al centro di moltissime reti molecolari della cellula: le proteine IDP si comportano quindi come proteine hub, il termine con cui la scienza delle reti indica le proteine che coordinano e sono il perno di numerose interazioni molecolari.

Il ruolo privilegiato di proteine hub, però, ha anche un’altra importante conseguenza: se una proteina hub IDP è mutata o funziona in modo errato, tutta la rete di interazioni che dipende da essa ne risente. Non stupisce, quindi, che moltissime IDP siano state associate a malattie metaboliche, a patologie neurodegenerative e a svariati tumori.

Il ruolo delle proteine disordinate

Ci sono pochi dubbi che le proteine disordinate o con regioni disordinate siano cruciali per molte funzioni cellulari, e anche per molte patologie. Tra le IDP ci sono le proteine c-Myc, TP53, K-RAS: tutte vecchie conoscenze per chi studia i tumori e la loro capacità di crescere in modo incontrollato, di formare metastasi o di sfuggire all’apoptosi.

Le IDP sembrano avere un ruolo anche nello sviluppo di malattie neurodegenerative, come la proteina tau coinvolta nella patogenesi dell’Alzheimer. Non fanno eccezione le malattie metaboliche: un caso interessante è quello dell’amilina, una proteina disordinata secreta dal pancreas insieme all’insulina. Ammassi di fibre di questa IDP sono stati riscontrati nella quasi la totalità (95%) dei pazienti con diabete di tipo II: l’ipotesi è che questi ammassi amiloidi causino la morte per apoptosi delle cellule beta del pancreas, arrestando così la produzione di insulina e favorendo la comparsa del diabete.

Da intrattabili a trattabili: la ricerca per colpire le IDP

Se solo si trovasse il modo di colpirle in modo mirato, le IDP sarebbero proteine ad altissimo potenziale terapeutico. Tuttavia, il disordine strutturale – che è un punto di forza per la funzione delle IDP – è anche un ostacolo per chi cerca di attivarle o inibirle con farmaci specifici.

Lo sviluppo di farmaci molecolari richiede una struttura di riferimento stabile e precisa: per esempio, la funzione di un enzima può essere inibita da una molecola che si adatta perfettamente alla conformazione tridimensionale del suo sito attivo.
Ma come sviluppare una molecola che agisca su una proteina che non ha una struttura definita e ordinata? È questo dubbio che ha fatto guadagnare alle IDP un altro appellativo poco incoraggiante: oltre che disordinate, sono state definite “undruggable”, cioè impossibili da trattare con farmaci mirati.

Qualcosa sta però cambiando: le IDP, dopo il legame con altre molecole, possono acquisire forme più ordinate, e proprio queste forme potrebbero essere il cavallo di Troia che permette a un potenziale farmaco di “entrare” nella struttura della IDP e modularne la funzione.

Uno dei primi successi riguarda la trifluoroperazina, un farmaco già usato per curare ansia e schizofrenia. Un gruppo di ricerca spagnolo, in collaborazione con ricercatori del CNR-NANOTEC dell'Università della Calabria, ha scoperto che la trifluoroperazina era in grado di legarsi e inibire la proteina disordinata NUPR1. Il risultato ha suscitato grande interesse, perché NUPR1 è coinvolta in una forma di tumore del pancreas. I dati preliminari, condotti su modelli animali in laboratorio, hanno dimostrato che il farmaco era in grado di arrestare la crescita di cellule tumorali umane. Questo studio ha segnato un importante cambio di passo: forse le IDP non sono così undruggable come si pensava.

Il gruppo di ricerca ha proseguito l’indagine e ha scoperto qualcosa di ancora più interessante: nel caso delle IDP, il farmaco migliore potrebbe non essere quello che si lega meglio alla proteina, come accade per la gran parte dei farmaci attivi contro proteine ordinate. Nel caso di NUPR1, e forse anche di altre IDP, un farmaco efficace potrebbe essere quello che permette di raggiungere un compromesso: un’affinità di legame abbastanza forte da modulare l’attività di NURP1 ma non così forte da compromettere tutte le funzioni in cui è coinvolta.

Questo risultato potrebbe essere utile per la ricerca di farmaci attivi contro altre IDP: un esempio è quello della oncoproteina TP53, che è mutata in circa la metà dei tumori umani. Si stima che le molecole in grado di legare TP53 siano circa 500, un numero che dà un’idea della moltitudine di funzioni in cui TP53 è coinvolta. Un inibitore che blocchi completamente TP53 potrebbe quindi non essere la scelta migliore, perché oltre a inibire gli effetti oncogeni produrrebbe altri effetti a cascata su molte funzioni cellulari. La risposta potrebbe quindi risiedere in una o più molecole in grado non di bloccare, ma di modulare la funzione di TP53.

Forse il caos si può controllare con un po’ di ordine alla volta, quanto basta per far ritrovare il ritmo giusto alle proteine danzanti, disorientate da una mutazione o da una melodia fuori tempo.

Foto in evidenza: Camille Waldeck/Pixabay

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Proteine disordinate o danzanti? Simulazione delle posizioni che può assumere la coda (in verde) di questa proteina intrinsicamente disordinata (Credits: Tommi montana 87 / Wikimedia Commons)

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Rappresentazione della struttura di una proteina, con le alfa-eliche in rosso e i foglietti-beta in azzurro (Credits: Jawahar Swaminathan and MSD staff at the European Bioinformatics Institute)

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La molecola di Imatinib, un farmaco per la leucemia mieloide cronica, si incastra alla perfezione nella struttura dell'enzima c-ABL (Credits: Mxpule/Wikimedia Commons)

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La molecola di trifluoperazina (Credits: Marina Vladivostok/Wikimedia Commons)

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Alcune delle funzioni cellulari in cui sono coinvolte proteine disordinate (IDP) (Credits: Lara Rossi)

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La pagina del database DisProt dedicata alla proteina disordinata TP53, un'oncoproteina coinvolta in molti tumori umani (Credits: DisProt)

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La struttura di una proteina intrinsicamente disordinata: una sola alfa-elica (in rosso) immersa in un mare disordinato (Credits: Jawahar Swaminathan and MSD staff at the European Bioinformatics Institute)

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I due estremi della grande plasticità strutturale di una IDP: dalla forma completamente strutturata a quella completamente disordinata (Credits: Martinelli A.H.S et al. Int. J. Mol. Sci. 2019, 20(6), 1322; https://doi.org/10.3390/ijms20061322)

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Le IDP sono presenti in molti virus, come il virus Zika in figura: la versatilità delle IDP compensa il limitato proteoma virale e permette l'interazione con molte proteine dell’ospite (Credits: Manuel Almagro Rivas/Wikimedia Commons)