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Notte buia, tante stelle

In attesa della notte più lunga dell'anno, sprofondiamo nelle pagine di Una notte dell'astronomo vietnamita Trinh Xuan Thuan, che, tra inquinamento luminoso e frontiere della ricerca, finisce per accompagnarci alla scoperta delle trame di cui è intessuto il cosmo.
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Parlami dell'universo
di un codice stellare che morire non può
di anime in continuo mutamento
e abbracci nucleari estesi nell'immensità
dove tu mi stai aspettando adesso...

Cristina Donà, Universo

 

Solstizio d’inverno: il dì più breve, la notte più lunga dell’anno, cioè il punto di declinazione minima del Sole nel suo moto apparente lungo il piano dell’eclittica in rapporto all'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre. Quasi quindici ore di buio, in Italia.

In genere il giorno del solstizio d’inverno è il 21 dicembre, ma una volta ogni quattro anni, come nel 2019, cade il 22 dicembre, per riallinearsi al 21 negli anni bisestili.  

Equinozi e solstizi nel corso del moto di rivoluzione terrestre (immagine: wikipedia).

 

Una notte

In questa notte anticamente ritenuta magica in molte culture (si pensi ai rituali druidici a Stonehenge), dove si inaugurava la vittoria della luce sulle tenebre, Trinh Xuan Thuan (1948), professore di astronomia all’Università della Virginia e ricercatore dell’Institut d’Astrophysique  di Parigi, ci racconta l'universo nel libro Una notte (Ponte alle Grazie, 2018, 251 pp., euro 20, traduzione egregia di Laura Serra), affidandosi a una delle magie più grandi di tutte: l’osservazione dell’universo durante una notte di lavoro all’osservatorio astronomico di Mauna Kea, alle Hawaii, fra scienza, arte e poesia.

L’osservatorio di Mauna Kea è posto sulla cima del vulcano omonimo a una altezza di 4200 metri slm che centri di ricerca, università, scienziati prenotano a turno con larghissimo anticipo per una manciata di notti di osservazioni, nella speranza che non ci siano nuvole, perché in quel caso devono ripetere la procedura di prenotazione perdendo mesi di lavoro. Il successo di questo luogo è dato non solo dai tredici potenti telescopi (con specchi che arrivano a dieci metri di diametro e uno addirittura da trenta in costruzione), ma anche dal fatto che Mauna Kea è uno dei luoghi migliori al mondo per le osservazioni astronomiche, grazie all’altezza e al completo isolamento nel mezzo dell’Oceano Pacifico, lontano da inquinamento luminoso e atmosferico.

Con placida determinazione zen e ottime capacità divulgative, l’autore racconta se stesso, il proprio lavoro, l’universo e le sue leggi in modo accessibile a tutti, con citazioni da capolavori della letteratura mondiale e molte illustrazioni, tra foto del cosmo e opere pittoriche.

A farla da padrone sono le teorie, le scoperte, le sfide scientifiche del futuro: dal più vicino...

Il tempo di andata e ritorno dei raggi laser ci permette di misurare con estrema precisione la distanza Terra-Luna (per calcolarla, basta moltiplicare la durata del viaggio di andata e ritorno dei raggi laser per la velocità della luce e dividere per due), e queste misure ci dicono che il nostro satellite si allontana dalla Terra di 3,8 centimetri all’anno, grosso modo il ritmo annuo di crescita delle unghie umane. [p. 50]

…ai limiti più remoti di ciò che è possibile teorizzare. Per esempio con alcune considerazioni che, partendo dal rigore scientifico, approdano alla solidarietà fra viventi.

 

I “nuclei gemelli”

È il caso dell’esperimento EPR (dai cognomi degli ideatori Einstein, Podolsky, Rosen), prima un’idea teorica e poi, dopo cinquant’anni, esperimento di successo, dove è stato osservato che se due fotoni hanno interagito una volta in passato rimangono legati “per sempre”, qualunque sia la distanza che li separa (gli appassionati di Harry Potter qui saranno portati a trovare similitudini con i “nuclei gemelli” delle bacchette di Harry e Voldemort…), spingendo i fisici a definire la «non separabilità» dello spazio.

Sapere che siamo interdipendenti, che siamo tutti collegati nello spazio e nel tempo, ha una conseguenza etica profonda che va a toccare il nostro senso di compassione e di empatia. Il muto che la nostra mente ha eretto tra «io» e «gli altri» non è che un’illusione; la nostra felicità dipende da quella altrui. Il magnifico affresco storico comune delle nostre origini, che si svolge nell’arco di quattordici miliardi di anni, dovrebbe risvegliare in noi un senso di responsabilità universale e incitarci a unire gli sforzi per risolvere i problemi della povertà, della fame, delle malattie e di tutte la altre calamità che minacciano l’umanità e il pianeta. [p. 151]

Un altro esempio è il principio antropico.

 

Il principio antropico

Teoria controversa, sostenuta negli anni da scienziati di primo piano come, fra gli altri, Stephen Hawking, John Wheeler, Steven Weinberg e Freeman Dyson, il principio antropico è stato coniato dall’astrofisico Brandon Carter e nel tempo è diventato un modo per descrivere l’improbabile simbiosi che si è venuta a creare tra vita intelligente (fra cui l’uomo) e universo, che visti i dati sembra fatto apposta per ospitarci...

Quali dati? Come sanno gli astrofisici, il fatto che ci sia vita nell’universo è un evento straordinario che non andrebbe dato per scontato. Come racconta Trinh Xuan Thuan, hanno calcolato che se modificassimo la densità iniziale dell’Universo di una sola cifra al sessantesimo decimale (al 60° decimale!) questa vastità di circa 13,8 miliardi di anni luce – con un raggio di 47 miliardi di anni luce di universo osservabile – sarebbe… completamente sterile! Perché? Perché se potessimo modificare quel lontanissimo, minuscolo sessantesimo decimale non sarebbe più possibile la formazione delle stelle massive, grazie alle quali esiste il carbonio, cioè l’elemento alla base della vita come noi la conosciamo.

Passando oltre a quel notevole colpo di fortuna che è l’Universo fertile, le probabilità che su un qualsiasi pianeta ci siano le condizioni adatte alla formazione della vita sono molto, molto basse, benché la cosa sia statisticamente probabile. Lo dimostra il nostro pianeta, che se non avesse questa distanza dal Sole, questa orbita e questa inclinazione dell’asse… noi non potremmo essere qui a parlarne. E invece ci siamo e assistiamo alle stagioni, alle migrazioni, agli equinozi e ai solstizi, come questo solstizio d’inverno con la sua (e nostra) notte più lunga e buia dell’anno.

Il buio. Davvero sappiamo cos’è il buio?

 

Miliardi di luci, venti stelle

Vista dallo spazio di notte, la Terra è un reticolo di luci artificiali che a colpo d’occhio ci indicano i luoghi più abitati da Homo sapiens – le città – e i luoghi poco o nulla antropizzati come deserti, foreste, giungle (il punto più luminoso di tutti è Las Vegas). Nelle città l’illuminazione notturna, «strutturata in maniera da sconfiggere la notte», consente di distinguere circa venti stelle, non di più.

Un terzo dell’umanità non potrà mai godersi la magica visione della fascia luminosa della Via Lattea. I bambini delle metropoli non alzano più gli occhi verso il cielo. Invece è importante mantenere saldo il legame con l’universo e non distruggere il filo che ci lega a esso. [p. 129-131]

 

Immagine satellitare della notte statunitense (fonte: Nasa Goddard Space Flight Center)

Ma il problema non riguarda solo astronomi e bambini privati della meraviglia. Un terzo degli animali vertebrati e due terzi degli invertebrati sono animali notturni (senza contare la miriade di specie crepuscolari).

Con l’inquinamento luminoso, queste specie perdono il senso dell’orientamento; il ritmo circadiano, che è calibrato esattamente sulle ventiquattr’ore del giorno e della notte, e i cicli della riproduzione sono disturbati; insorge una maggiore vulnerabilità nei confronti dei predatori, sicché l’equilibrio ecologico viene alterato. Le prime vittime del fenomeno sono gli uccelli migratori: l’illuminazione notturna fa perdere loro i punti di riferimento celesti. [p. 136]

Con la conseguenza che, solo negli Stati Uniti, ogni anno muoiono non meno di 100 milioni di uccelli per collisione con i vetri dei grattacieli, ma c’è chi parla di 1 miliardo.

Per arginare l’inquinamento luminoso, nel 2007 è nata in Québec (Canada), attorno all’osservatorio di Mont Mégantic, la prima riserva di cielo stellato. Da quel momento, sono nate altre riserve in tutto il mondo per preservare il buio “buono” che ci permette di vedere le stelle, fantasticare e indagare l'universo.

Immagine satellitare della notte italiana (fonte: Nasa Goddard Space Flight Center)

 

Chi ha paura del buio?

«Credo che gli uomini abbiano ancora un certo timore del buio, sebbene tutte le streghe siano state impiccate e siano state introdotte la Cristianità e le candele»: così scrive lo statunitense Henry David Thoreau in Walden, pubblicato nel 1854. Nonostante le candele, a un secolo da Thoreau il buio continuava a fare paura. Del buio “cattivo”, infatti, dà conto anche Trinh Xuan Thuan, nato nel 1948 ad Hanoi, nel buddista Vietnam, e cresciuto a Saigon. Prima la guerra d’indipendenza, poi la seconda guerra d’Indocina, infine quella guerra del Vietnam tanto raccontata al cinema.

Trent’anni di guerra ininterrotta mi hanno dato una visione assai particolare della notte: per me era pericolosa. Era impossibile camminare al buio in campagna senza avere paura: paura di vedere spuntare da un momento all’altro commando di soldati e di essere bloccati da battaglie lungo la strada. […] In quegli anni, spesso associavo mentalmente la notte alla morte. [p. 127]

E allora godiamoci questa notte di pace a guardare le stelle insieme a un astronomo speciale che è stato capace di trasformare la paura in meraviglia.

Nonostante tutte le nostre conoscenze, la maggior parte del contenuto dell’universo ci sfugge. È una bella lezione di umiltà, per noi. Le tenebre rappresentano l’inevitabile rovescio della medaglia della luce, come la notte è la compagna inseparabile del giorno. [p. 198]
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