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SPECIALE CORONAVIRUS

John Snow, il padre dell'epidemiologia

Oggi al centro dello studio della diffusione di SARS-CoV-2 in Italia e in Europa c'è l'epidemiologia. Storia del suo padre nobile e della prima mappa epidemiologica
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Nel corso dell’epidemia di SARS-CoV-2 che sta colpendo l’Italia ci vengono ogni giorno offerti grafici e mappe della diffusione dei contagi per farci meglio comprendere come il virus si stia diffondendo. Ma nella storia dell’epidemiologia, la disciplina che studia e cerca di arginare la trasmissione delle malattie infettive, il primo a utilizzare questi strumenti di analisi fu un medico inglese, John Snow, che comprese correttamente l’origine dell’epidemia di colera nella Londra del 1854. Il colera è stato descritto per la prima volta all’inizio del XVII secolo dal medico olandese Jakob de Bondt nel suo De Medicina Indorum, un trattato sulle malattie tropicali incontrate durante i suoi viaggi nelle Indie Orientali. La prima volta che la malattia si affacciò in Europa, dopo averla raggiunta attraverso le vie del commercio internazionale, è il 1817 in Russia. Ma sono le successive epidemie, che colpiscono con migliaia di morti le grandi città come Parigi e Londra tra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, ad attirare definitivamente sul colera l’attenzione della comunità scientifica internazionale.
John Snow probabilmente nel 1856

Ipotesi ed errate convinzioni

Il colera è causato da un batterio, Vibrio cholerae, isolato per la prima volta nel 1854 da un medico di Pistoia, Filippo Pacini. Ma si è trattato di una scoperta dimenticata per oltre trent’anni: sarà solamente lo scienziato tedesco Robert Koch a stabilire definitivamente nel 1883 che V. cholerae è la causa della malattia. All’epoca di John Snow l’idea che una malattia potesse essere trasmessa da un batterio, un microscopico organismo, contraddiceva la teoria medica in voga. La malattia, cioè, non era il frutto di un’infezione, ma il risultato di un disequilibrio dei fluidi interni del corpo, una teoria che aveva le proprie radici nelle opere del medico Galeno, vissuto tra il I e il II secolo d.C. a Roma.  L’ipotesi più diffusa per spiegare le epidemia di colera era la presenza di miasmi, esalazioni malsane che scaturivano dalle carni in putrefazione, dalla materia in marcescenza o dalle viscere della terra: bastava respirare questi miasmi perché l’equilibrio interno dei fluidi determinasse la malattia, che non era quindi intesa necessariamente come contagiosa, cioè trasmissibile da persona a persona. A identificare i miasmi era il fetore, un evento frequentissimo in una città enorme come Londra (più di due milioni di abitanti, destinati a diventare quasi sette in meno di mezzo secolo) in pieno sviluppo industriale, inquinata e priva di un efficiente sistema fognario.  

Chi era John Snow

Primo di una numerosa prole, John Snow nasce a York nel 1813. Da adulto lo troviamo a Londra, a esercitare la professione medica, soprattutto quella di ostetrico. A renderlo famoso in Inghilterra era l’introduzione dell’uso del cloroformio come anestetico, tanto che persino la regina Vittoria vuole avvalersene per la nascita dei figli Leopoldo (1853) e Beatrice (1857). Durante l’epidemia di colera del 1833 (20 mila morti nella sola Inghilterra), Snow è molto giovane, ma ha modo di tastare con mano gli effetti devastanti di questa malattia nel 1848-49, quando i sudditi deceduti sono oltre 50 mila. Snow studia approfonditamente quest'ultima epidemia e non è convinto che la teoria dei miasmi possa spiegare le morti. In fondo, se dovesse colpire solamente chi vive vicino alle loro fonti, perché uccide in una casa e risparmia completamente i vicini? Inoltre, il colera si manifesta con diarrea e vomito, a volte fulminanti. Colpisce, cioè l’apparato digerente: perché dovrebbe essere causata dall’aria infetta che entra in contatto solamente con l’apparato respiratorio? 

Sul ruolo di John Snow nell'affermarsi dell'epidemiologia moderna si può guardare anche un breve documentario (in inglese sottotitolato in inglese) realizzato dall'Università di Harvard (USA) per il corso online sulla storia dell'epidemiologia.

 

La prima mappa epidemiologica

Quando il colera torna a imperversare a Londra nel 1854, Snow era convinto che dovesse essere qualcosa che veniva ingerito a causare la malattia, non qualcosa che veniva respirato. E il maggior indiziato è l’acqua. La sua casa di allora è molto vicina a Soho, uno dei quartieri particolarmente colpiti dalla malattia (oggi diremmo che è un focolaio) e che lui conosce strada per strada. Comincia a registrare meticolosamente tutti i casi di colera su una mappa, effettuando una vera e propria raccolta di dati sul campo. Ne risulta una mappatura del quartiere in cui i decessi dovuti al colera sono riportati come barrette nere in corrispondenza delle abitazioni: tante barrette, tanti morti. In questo modo, Snow riesce a ricostruire la distribuzione spaziale dei casi di colera che, conformemente alla sua ipotesi, decrescono a mano a mano che ci si allontana da una fontana pubblica posta in Broad Street.
Mappa di Soho durante l'epidemia di colera del 1854: in nero le barrette che indicano i decessi geolocalizzati. John Snow ha anche indicato le fontane pubbliche per l'acqua (Immagine: Wikimedia Commons)
La mappa da sola, però, non sarebbe bastata a indicare nell’acqua della fontana la causa del colera. Ma Snow fornisce anche altri argomenti aneddotici. Innanzitutto, tra i lavoratori del locale birrificio e i degenti dell’ospizio del quartiere, pur vicini a Broad Street si registrano pochi casi. Come mai? Entrambi gli edifici disponevano di un proprio pozzo autonomo. Inoltre, una donna di Soho, recentemente trasferitasi in un’altra zona della città, ma legata al “sapore” dell’acqua di Broad Street se la fa portare da quella fontana. Finché non muore di colera. Nel frattempo John Snow è uno dei fondatori della London Epidemiological Society, una sorta di organo consultivo cittadino che riuniva medici ed esperti per consigliare le autorità su come procedere in emergenze di salute pubblica. Perché la sua analisi risulti convincente bisogna anche capire perché l’acqua di quella fontana sia infetta. L’idea di Snow è che sia inquinata dalle acque fognarie dove sono finite le feci di alcuni malati. L’ipotesi sarebbe confermata dalla presenza, nelle vicinanze di Broad Street, di una casa con un impianto fognario sgangherato che permetteva agli scarichi di entrare in contatto con il pozzo dell’acqua potabile.
Broad Street, oggi Broadwick st., con in primo piano il monumento a forma di fontana dedicato a John Snow installato nel 2018 (Immagine: Wikimedia Commons)
Per testare questa ipotesi su una scala più ampia, Snow compie anche una seconda analisi, meno famosa della sua prima mappa. Individua due zone della città a cui due diverse aziende forniscono l’acqua potabile: una la preleva a oltre 40 km dalla città, lontano dalle fogne e dagli scarichi industriali, l’altra la prende nelle vicinanze del Tamigi, senza che ci sia alcuna garanzia di separazione tra scarichi fognari e acqua potabile. Il risultato dell’analisi? Nel quartiere fornito dall’acqua pura di fuori città si registrano pochissimi casi, nell’altro molti.  

Alla fine arriva Robert Koch

John Snow riesce a convincere le autorità locali a chiudere la fontana contaminata, contribuendo così a salvare probabilmente molte vite. Ma l’analisi epidemiologica condotta a Soho, un’indagine che lo ha fatto diventare noto come il padre dell’epidemiologia moderna, non convince del tutto i suoi contemporanei. C’è sicuramente una certa resistenza tra gli esponenti della medicina dell’epoca e tra i sostenitori della teoria dei miasmi, ma c’è anche il problema che l’esistenza dei batteri e la loro capacità di provocare malattie non è ancora nota. Snow, come il suo contemporaneo asburgico Ignaz Semmelweis, capisce dall’analisi epidemiologica che in qualche modo la malattia si trasmette per vie ancora ignote, ma gli manca un pezzo di conoscenza. Che arriva definitivamente nel 1883, 25 anni dopo la morte di Snow, con la dimostrazione di parte di Robert Koch che è proprio il batterio Vibrio cholerae a provocare il colera.
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