Il 6 agosto del 1940 i cereali negli sterminati campi dell’Ucraina sono ormai arrivati a maturazione. Quando l’auto scura si avvicina all’uomo con il cappello, però, è chiaro che non porta buone notizie. Gli ultimi anni sono stati per lui un crescendo di difficoltà: pressioni politiche, durissimi scontri con altre personalità dell’intelligencija, complicazioni per viaggiare e fare ricerca. In più, ci si è messa anche la guerra scoppiata l’anno precedente che non porterà niente di buono. Anzi, se possibile causerà ancora più miseria e distruzione.
Quello che succede quel giorno non lo sappiamo con certezza, ma possiamo immaginarlo. Le persone che scendono dall’auto lo invitano a salire e andare via con loro. Non si deve preoccupare, è tutto a posto. Ma Nikolaj Vavilov intuisce, con tutta probabilità, che è arrivato il suo momento. Quello del 6 agosto 1940 è un vero e proprio arresto: pur essendo uno scienziato, è diventato una figura scomoda ed è meglio farlo sparire. Solo negli anni Cinquanta, dopo la morte di Stalin, la famiglia scopre che era stato accusato di essere una spia e traditore del popolo, e condannato a morte nel 1941. La condanna non viene mai eseguita, ma nel 1943 Vavilov muore in una cella del carcere di Saratov, una città nel sud dell’Unione Sovietica. Il suo sogno di sviluppare nuove varietà di piante da coltivare per sfamare il popolo sovietico non si realizzerà mai.
Chi è Nikolaj Vavilov
Nikolaj Ivanovič Vavilov nasce a Mosca nel 1887, in una Russia molto diversa da quella che conoscerà nella sua vita adulta. A governarla c’è ancora lo zar, a capo di uno sterminato impero che va dall’Europa fino al Mar del Giappone, dall’Artico fino al Mar Nero e al Caspio. Ma oltre ad avere un territorio immenso, la Russia è uno stato attraversato da enormi disuguaglianze tra una élite aristocratica ricca, quella che dà anche da lavorare agli architetti italiani e commissiona brani musicali per i grandi balli, mentre la maggioranza della popolazione è estremamente povera e fa persino fatica a sfamarsi.
Vavilov capisce che per dare da mangiare a tutta la popolazione è necessario aumentare la produzione agricola e per questo studia botanica e genetica all’istituto agrario di Mosca. Il suo preciso intento è trovare varietà di piante che rendessero di più o che potessero essere coltivate anche in climi rigidi. In altre parole, il suo sogno era quello di riuscire a produrre una varietà di qualche cereale che potesse essere coltivato nelle immense pianure siberiane.
Le basi scientifiche
La sua ricerca si fonda su solide basi scientifiche. Vavilov è infatti uno dei primi lettori russi di Charles Darwin e di Gregor Mendel, nonché uno dei pionieri mondiali della genetica delle piante. Studiando la “genealogia” delle specie coltivate, capisce che è possibile individuare i primi luoghi di domesticazione di queste piante. I centri di origine delle piante coltivate, come li chiama nei suoi lavori scientifici, sono quei luoghi della Terra dove per la prima volta migliaia di anni fa, all’inizio dell’avventura agricola, l’umanità ha attivamente selezionato alcune piante per coltivarle a scopo alimentare. È il processo che va sotto il nome di “domesticazione” delle piante coltivate.
Per individuare questi centri, Vavilov intraprende una lunga serie di viaggi in giro per il mondo. Alla fine le sue missioni scientifiche saranno 75 (dal Senegal all’Indonesia, dall’Iran agli Stati Uniti, passando anche per l’Italia) e gli permettono di individuare alcuni di questi centri di origine delle piante coltivate. Inizialmente ne individua otto, sparsi nei vari continenti. La sua idea rimane valida, ma oggi sappiamo che sono molti di più e che, in alcuni casi, certe piante sono state domesticate più volte in diversi punti del globo. Oppure che ci sono stati più momenti di differenziazione nella loro storia evolutiva.
Il punto fondamentale, però, è che nei centri di origine delle specie che coltiviamo Vavilov sa che potrà trovare molte varietà selvatiche delle stesse piante. Sono varietà parenti di quelle già coltivate, ma che hanno conservato tratti diversi. Per esempio, un tipo di frumento che riesce a resistere abbastanza bene alle gelate, oppure una varietà che si adatta meglio a terreni più acidi. I centri di origine, in altre parole, sono una specie di “catalogo” da cui provare ad attingere tratti interessanti che, grazie agli incroci, possono essere passati a nuove varietà.
La prima banca dei semi
Nel corso di questi viaggi e, ancora prima, sfruttando la rete di emigrati russi ai quattro angoli del pianeta, Vavilov mette insieme un’enorme quantità di semi da tutto il mondo. Da questa collezione, da studiare e analizzare con le tecniche più avanzate dell’epoca, spera di poter attingere per creare le varietà che possano adattarsi ai climi freddi della Siberia. O comunque incrementare la produttività dell’agricoltura del suo paese. Nasce così la prima banca dei semi agricoli, che oggi chiamiamo banca del germoplasma, al mondo. I semi sono essiccati e raccolti in bustine di carta a loro volta conservate dentro a centinaia di scatole di metallo. Nelle banche dei semi moderne ci sono anche collezioni che vengono tenute in appositi frigoriferi a temperature molto basse (anche -80 °C). Accanto a queste collezioni, Vavilov avvia anche una serie di stazioni sperimentali dove testare sul campo le varietà e poter procedere agli incroci. Questa è la parte di collezione che viene chiamata in vivo e, per mantenerla al meglio, Vavilov sfrutta l’enorme diversità di climi dell’Unione Sovietica.
Il problema di Vavilov è che i suoi risultati non sono rapidi. Almeno non quanto vorrebbe Stalin. Perché il genetista e botanico riesce a passare indenne al cambio di regime provocato dalla Rivoluzione che ha abbattuto il potere zarista e portato alla nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, ma non alle richieste del nuovo capo del Partito Comunista che ora è al governo. I tempi per la rivoluzione agricola che vorrebbe il regime non sono compatibili con i reali tempi dello sviluppo di nuove varietà. Occorrono anni per fare test su piccole porzioni di campo e per eventualmente riprodurre il seme in quantità sufficienti per la semina.
In questo contesto, nel frattempo, si mette in luce un personaggio determinante in questa storia. Il suo nome è Trofim Denisovič Lysenko ed è un agronomo con idee anti-scientifiche, come quella dello svernamento. In pratica, Lysenko sostiene che se piantati in climi freddi, i cereali si adattano e passano questa caratteristica alla generazione successiva. Oggi sappiamo che si tratta di idee contrarie alla teoria dell’evoluzione di Darwin e che, invece, assomigliano molto alle teorie errate di Lamarck. Ma sotto il profilo politico, le idee di Lysenko promettono di migliorare la produzione agricola sovietica in pochissimi anni, venendo incontro quindi alle necessità propagandistiche di Stalin. Il risultato è che Vavilov cade in disgrazia, mentre Lysenko può condurre i suoi esperimenti fallimentari, che purtroppo avranno un ruolo attivo in varie carestie che porteranno milioni di persone a morire di fame.
Dopo la Seconda Guerra mondiale
E così arriviamo a quel 6 agosto 1940, all’ingiusta incarcerazione di Vavilov (che si criticava apertamente Lysenko) e alla morte in cella. Le circostanze della sua morte non sono chiare, alcune fonti dicono che potrebbe addirittura essere stata causata dalla fame. In tal caso, sarebbe ancora più amaro per uno scienziato che ha viaggiato in ogni angolo del globo proprio per studiare come sfamare le persone. E per un’altra ironia della sorte, si spegne proprio a Saratov, nella stessa città in cui dal 1942 la sua stessa famiglia è stata evacuata dopo l’ingresso in guerra dell’Unione Sovietica. Solo a partire dal 1955, dopo cioè la morte di Stalin, la figura di Vavilov viene riabilitata e oggi lo ricordiamo come uno dei pionieri della ricerca sulla biodiversità agricola.